RoboCop, la recensione
Quando si decide di metter mano a un film che ha segnato una generazione e ha praticamente codificato un determinato filone cinematografico, c’è sempre il rischio di far danni… non parliamo poi dei puristi talebani del film originale, che condannano a prescindere l’operazione ancor prima di aver visto il risultato. Insomma, rifare un cult è un po’ come tirarsi la proverbiale vanga sui piedi. Ed è la sensazione che aleggiava nell’aria con l’annuncio da parte della MGM e della Columbia di voler rifare RoboCop, il capolavoro che Paul Verhoeven ha diretto nel 1987.
La storia del poliziotto di Detroit Alex Murphy che viene lasciato in fin di vita da una banda di criminali e poi finisce come cavia per un esperimento di fusione uomo-macchina si presta bene a una attualizzazione, malgrado il film di Verhoeven all’epoca fosse decisamente al passo con i tempi e visto oggi ha ancora quella forza dirompente e innovativa che lo contraddistingueva. La strada intrapresa dalla produzione per la versione 2014 di RoboCop è quella, giustamente, di non rifare il film di Verhoeven che di per se è appunto perfetto, ma di prendere spunto da quel soggetto per raccontarci altro. Non un remake, dunque, ma un reboot, come chiamano queste operazioni Oltreoceano.
L’incipit del nuovo RoboCop è lo stesso del vecchio, ma tutto attorno muta, si affrontano altre tematiche, se ne approfondiscono di già esistenti e vengono inseriti personaggi del tutto inediti. Il fulcro di tutto è una battaglia politica tra la multinazionale di ingegneria robotica Omnicorp, presieduta da Raymond Sellars (Michael Keaton) e il Senatore Dreyfuss (Zach Grenyer), la prima intenzionata a far abolire l’emendamento sostenuto dal secondo per il quale i robot non possono essere utilizzati per la sicurezza dei cittadini americani, a differenza di quello che accade fuori dai confini nazionali. Quella che viene messa in atto è una battaglia mediale di cui si fa protagonista anche il presentatore televisivo Pat Novak (Samuel L. Jackson) e diventa inconsapevole baluardo della Omnicorp anche il detective Alex Murphy (Joel Kinnaman) che, nel tentativo di denunciare alcuni suoi colleghi corrotti, finisce vittima di un attentato fuori dalla sua abitazione. Sellars prende la palla al balzo e decide di aggirare la legge costruendo un prototipo di cyborg, metà uomo e metà macchina, così da far accettare all’opinione pubblica la sua proposta di robotizzare le forze dell’ordine creando una vera e propria mascotte. Dell’esperimento viene incaricato il Dott. Norton (Gary Oldman) e il prototipo di RoboCop riesce benissimo: l’efficacia e la forza di una macchina con la ragionevolezza e la valutazione dei rischi di un essere umano. Ma ora Murphy/RoboCop deve fare i conti con l’evidenza dei fatti che fa di lui un “mostro” e la voglia di riabbracciare la sua famiglia.
L’efficace sceneggiatura dell’esordiente Joshua Zetumer punta, in primis, su due fattori: il cinismo della politica e dei media, che giocano con la vita umana per riempire le proprie tasche, e il conflitto interiore del novello mostro di Frankenstein messo al centro di una questione ben più grande di lui. Si tratta di due aspetti inediti o quasi, visto che nel film del 1987 c’era una sapiente critica ai media – come Verhoeven ha dimostrato di saper fare anche in seguito – e un gusto satirico nel rappresentare le istituzioni, ma non era stata imbandita la sfida tra politica e multinazionali che nella versione 2014 è centrale. Inoltre lì Murphy, una volta divenuto RoboCop, non aveva quasi più coscienza della sua vita precedente se non per alcuni flashback della sua morte e della sua famiglia, che qui invece diventano elementi fondamentali della trama, con una famiglia ben presente e una moglie – interpretata da una sempre brava e bella Abbie Cornish – che combatte per riavere suo marito. A differenza del film di Verhoeven, inoltre, qui non si finisce in una storia di vendetta, l’aspetto della bassa criminalità metropolitana rimane del tutto marginale, anche se questo porta purtroppo a una concessione minima alla violenza visiva che contraddistingueva il vecchio film. L’aspetto satirico che condanna la personalità reazionaria degli Stati Uniti rimane ma si tinge di seriosità, legandosi a un interessante discorso sulla sicurezza nazionale (“L’America ha bisogno di essere protetta!”, esclama Pat Novak) e sulla sperimentazione delle armi fuori dai confini statunitensi.
Per dirigere il reboot di RoboCop è stato assoldato l’ottimo José Padilha, regista dei primi due Tropa de elite, che dona al film un look si conformato allo standard fanta-action hollywoodiano odierno ma contraddistinto da alcuni tocchi personali che rendono riconoscibile la mano del regista brasiliano. La bellissima introduzione a Teheran richiama proprio Tropa de elite e alcuni momenti d’azione hanno l’estetica dei videogames (FPS in primis), richiamati esplicitamente anche dal primo addestramento di RoboCop.
Davvero buono il lavoro eseguito sul cast che oltre alla citata Abbie Cornish spara due cartucce di prima classe come Micheal Keaton, nel ruolo del malvagio direttore della Omicorp e un magnifico Gary Oldman che fornisce un’incredibile umanità al dottor Norton. Samuel L. Jackson aggiunge la sua consueta professionalità e Jackie Earle Haley è uno spietato scagnozzo che sembra uscito da Elysium di Neil Blomkamp. Buona anche la scelta di Joel Kinnaman, star di The Killing, per interpretare Alex Murphy, anche se si ha la sensazione che sia quasi sprecato per il ruolo, vista la sua caratura attoriale.
Insomma, con un tono serio che richiama il cinema di Christopher Nolan e affrontando tematiche di una certa importanza, RoboCop in versione 2014 funziona a meraviglia e non mancano neanche strizzate d’occhio ai fan di vecchia data come lo score musicale di Basil Poledouris e la caratteristica battuta “Vivo o morto tu verrai con me!”. Posto che il film di Verhoeven è inarrivabile, la versione di Padilha è il meglio che potesse essere fatto per questo tipo di operazione e in una ipotetica ottica di saga si piazza qualitativamente subito dopo l’originale.
Roberto Giacomelli
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