Kubo e la spada magica, la recensione

Parlando di film d’animazione si è soliti pensare al loro incipit con lo schema del “c’era una volta …”. Queste sono le quattro parole che aprono le porte a mondi fantastici popolati di protagonisti coraggiosi e creature misteriose; nonostante questo, ormai molti titoli hanno rinunciato a tale schema proveniente dalla fiaba. Lo stesso Kubo e la Spada Magica, film presentato nella sezione Alice nella città dell’undicesima Festa del Cinema di Roma, non utilizza questa espressione rituale ma il “c’era una volta” è il cuore della storia.

Su un’alta scogliera di un indefinito luogo del Giappone vive Kubo, un giovane ragazzo che si guadagna da vivere affascinando gli abitanti di un villaggio con il suo magico dono di dar vita ad alcune storie grazie a degli origami animati. Kubo si prende cura della madre malata e si pone molte domande sulla misteriosa morte del padre. Quando un potere malvagio si abbatte sul protagonista, egli dovrà partire per trovare un’arma per sconfiggerlo.

KUBO AND THE TWO STRINGS

Il film è una produzione LAIKA, uno dei migliori Davide contro i Golia del cinema d’animazione (Disney e Pixar), la quale è riuscita a ritagliarsi il proprio posto nel mondo animato. In un viaggio lungo 10 anni, lo studio è cresciuto grazie a un taglio originale, innovazione tecnologica e la volontà di trasportare la tecnica stop-motion nel 21esimo secolo. Già nel 2009 con Coraline e la porta magica e, successivamente, con ottimi titoli come ParaNorman e Boxtrolls (entrambi nominati agli Oscar), la Laika ha sempre sorpreso e suscitato interesse con ogni suo nuovo progetto.

Fin dall’uscita del primo trailer, Kubo e la Spada Magica possedeva l’audacia di provare ad accostare il mondo orientale a quello occidentale. I tratti giapponesi si fondono con una storia americana che lascia solo le briciole a chi si aspetta un prodotto proveniente dal Sol Levante. Non si imita Miyazaki e lo Studio Ghibli, non ci sono momenti onirici, ma si realizza qualcosa di completamente nuovo.

KUBO AND THE TWO STRINGS

La pellicola è costruita sul classico “starwarsiano” viaggio dell’eroe: attraverso diverse tappe e prove, Kubo non troverà dei semplici oggetti ma scoprirà sé stesso. Nonostante il percorso intrapreso sia fin troppo lineare e prevedibile, i combattimenti degni di un action movie americano intrattengono grandi e piccoli. Nel suo cammino di formazione, Kubo avrà due compagni di viaggio che riescono ad avere un’equilibrata presentazione, uno sviluppo da veri comprimari e rappresentano la coppia comica del film. Manca quella comicità a tinte dark che faceva sorridere intimoriti nelle scene più oscure di Coraline, sostituita da gag più prevedibili che non sempre vanno a segno.

L’animazione eccelsa predilige tratti spigolosi e colori accesi, paesaggi in cui si percepisce l’amore per la cultura e gli ambienti orientali. Ma è solo nel finale che il film dà il meglio di sé facendo capire che vuole toccare corde più profonde del previsto. Una tematica accompagna il film per tutta la sua durata, rimanendo forse troppo celata: Kubo e la Spada Magica desidera osservare l’atto stesso del raccontare – mostrato a più riprese nell’arco del film – come gesto significativo per consegnare le nostre parole alla memoria, ai ricordi e all’infinito.

KUBO AND THE TWO STRINGS

Nonostante il film possa apparire meno adulto rispetto ad altri titoli targati Laika, l’obiettivo di rendere l’azione del narrare come cardine della pellicola crea un testo metanarrativo che fa emozionare e riflettere.

C’era una volta il cinema d’animazione, ora ce ne sono tanti, e la Laika ha un posto d’onore tra i più coraggiosi.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • La Laika si conferma una garanzia per il cinema d’animazione
  • Coraggio e sperimentazione sono le parole d’ordine del film
  • Fondere uno stile orientaleggiante con una storia tipicamente americana
  • L’ironia meno pungente rispetto ai film precedenti
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