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Omicidio al cimitero, la recensione
Sei persone in visita al cimitero comunale di Santa Cristiana, nel bel mezzo del nulla, trovano il cadavere del guardiano accasciato nella cappella. L’uomo è stato strangolato, le uniche due automobili sono state sabotate, non c’è campo per i cellulari e il prossimo autobus passerà tra ore. I sei non possono far altro che attendere e stare in allerta perché tra di loro può nascondersi l’assassino.
Queste sono le premesse di Omicidio al cimitero, nuovo film diretto da Stefano Simone che torna a esplorare i territori del giallo/thriller dopo il riuscito Il fantasma di Alessandro Appiani. Questa volta però siamo alle prese con una dinamica da giallo classico (non a caso il cimitero è titolato a Santa Cristiana, luogo che non esiste realmente ma omaggia Agatha Christie), senza concessioni al soprannaturale o a predominanti contaminazioni con la commedia. Unità di tempo e di luogo, un omicidio, sei indiziati e un responsabile da individuare. Gli ingredienti sono quelli del whodunit puro, ma con un parco di personaggi variegati che consente di affrontare anche tematiche di rilievo sociale come la depressione giovanile e le frodi on line.
Omicidio nel West End, la recensione
Il genere giallo sta tornando di moda al cinema? Stando ad alcune sistematiche e strategiche uscite si direbbe che ci stia provando. Merito del successo di pubblico di Assassinio sull’Orient Express (2017), quasi bissato da Assassinio sul Nilo (2022) e del successo di pubblico e critica di Cena con delitto – Knives Out (2019) che a breve proverà a bissare con Knives Out: Glass Onion. Nell’attesa del sequel di Rian Johnson, però, il giallo si manifesta in quella che in diverse occasioni passate è sembrata la sua più naturale quanto bizzarra contaminazione, la commedia, e arriva al cinema Omicidio nel West End (See How They Run, in originale) di Tom George.
Assassinio sul Nilo, la recensione
Gli elementi che contraddistinguono il cosiddetto genere “giallo” sono precisi e ripetuti, quasi meccanici, e prevedono un crimine attorno al quale si sviluppa un intreccio popolato da personaggi, vittime e carnefici, e un’indagine che ne porta alla risoluzione. Quello che (solo) in Italia ha assunto questo particolare nome per merito del colore delle copertine della collana di pubblicazioni letterarie che per prima li raccolse, i “gialli Mondadori”, a partire dal 1929, è un genere che dall’ambito prettamente letterario si è poi esteso ad altri media, il cinema e il fumetto in primis, ma con una tale fedeltà alle “regole” che ne fa forse il genere più impostato di sempre. Un bene? Forse, visto il successo che riscuote da oltre un secolo. Un male? Anche, dal momento che diventare esperti fruitori del genere rende sempre più complicato esserne realmente stupiti. Kenneth Branagh e il suo sceneggiatore Michael Green, quindi, che fanno in Assassinio sul Nilo? Avendo tra le mani uno dei più grandi classici letterari di Agatha Christie, già trasposto in lungo e in largo, nonché fondante sul disvelamento di colpevole e movente, rimangono sì fedeli, ma si concentrano su altri elementi, quelli che sulla carta erano sullo sfondo e altri che invece sono del tutto inediti.