Tales from the Loop. La relatività temporale nella serie sci-fi tratta dalle opere di Stålenhag

Il cambiamento è parte integrante della Natura. Si cresce, si invecchia, si muore.

Ma il tempo (del cambiamento) è relativo, come spiegava Einstein, è può essere lunghissimo, quasi impercepibile nel suo scorrere, così come può trascorrere in un battito di ciglia.

Parte proprio da questo basilare principio fisico l’architettura ideologica alla base di Tales from the Loop, la serie fantascientifica di Amazon Prime Video che sta facendo – giustamente – parlare di se.

Ispirata ai libri illustrati dell’artista svedese Simon Stålenhag, da cui è stato tratto anche un popolare gioco di ruolo, Tales from the Loop trasporta quelle suggestive immagini pastello che fondono scenografie rurali con elementi tecnologici da fantascienza âgée anni ’50, ai limiti del cyberpunk, in un contesto statunitense senza tempo. Le vicende si ambientano in un paesino dell’Ohio in un periodo che può essere circostanziato idealmente tra gli anni ’60 del ‘900 e i primi anni del terzo millennio. Ci sono pochi elementi che ci possono suggerire un’ambientazione storica e vanno dalle automobili al cinema che proietta La maschera del demonio di Mario Bava fino alla radio che trasmette Can’t Get You Out Of My Head di Kylie Minogue, ma non importa temporalizzare storicamente questa serie, è il principio stesso che ne sta alle fondamenta che vuole essere temporalmente sfuggente e dimostrare che il tempo è ciclico nel suo rinnovarsi perpetuo, in loop.

Tales from the Loop

Ideata e sceneggiata da Nathaniel Halpern, già responsabile di molti episodi di Legion e Outcast, Tales from the Loop ha un’interessante costruzione semi-antologica in cui ogni episodio è idealmente indipendente dall’altro ma tutti fanno parte di un’unica grande storia che coinvolge gli abitanti di questo paesino, per cui il protagonista di un episodio può essere un personaggio secondario di un altro o addirittura una comparsa e gli eventi raccontati in una puntata possono in qualche modo influenzarne un’altra.

Le storie ruotano tutte attorno al Loop, una struttura sotterranea tecnologica in cui lavorano buona parte degli abitanti della cittadina e in cui si studiano misteriosi eventi che regolano l’universo. Per questo motivo possono verificarsi strappi spazio/temporali che portano nel presente i personaggi del passato, far sì che si possano visitare dimensioni parallele, scambiarsi di corpo con un’altra persona, fermare letteralmente il tempo e prevedere quanti anni di vita ci rimangono. Eventi inspiegabili che rimangono tali, ma che in un ingegnoso meccanismo a macguffin per i personaggi della serie sono perfettamente naturali.

Tales from the Loop

Quella realizzata da Halpern non è una serie per tutti i palati, questo va detto, perché se cercate un prodotto di fantascienza in piena regola, magari scandito dagli odierni ritmi da action, potreste rimanere delusi; piuttosto si tratta di una riflessione dai toni pacati e dai ritmi dilatati sull’importanza dei rapporti umani e sulla gestione del tempo di vita, un bignami filosofico sulla relatività del tempo che punta tutto su un fortissimo aspetto emotivo. Grazie alla magnifica fotografia che riproduce con fedeltà i colori tenui nell’opera omnia di Stålenhag e a una suggestiva e magnetica colonna sonora composta da Philip Glass e Paul Leonard-Morgan, Tales from the Loop punta diritta al cuore, sa parlare di temi universali con una particolare delicata leggerezza, sa far commuovere e, sicuramente, non ci abbandona con la fine dell’ultimo episodio. Infatti, a differenza della maggioranza delle serie tv che ormai intasano la nostra vita scandita dalle piattaforme vod, Tales from the Loop ci accompagna nel tempo, sembra arricchire lo spettatore, sa farlo riflettere.

Tales from the Loop

Non c’è nulla di realmente nuovo nelle storie che Tales from the Loop ci racconta, anzi spesso vanno a rimarcare aspetti e tematiche care all’immaginario fantastico come il viaggio nel tempo, il doppelganger, lo scambio dei corpi, la creazione della vita artificiale, ma c’è una grazia e un’armonia nella narrazione di ogni episodio da far passare sopra ad ogni semplicismo narrativo intrinseco. Non è il “cosa” ma il “come” ci viene raccontato a fare la differenza, il senso di attesa, la ricerca di un qualche cosa di perduto, un deus ex machina indefinito e indefinibile come il Loop.

Da notare come ogni episodio ha un diverso regista e spesso questi registi sono nomi molto autorevoli del panorama cinematografico statunitense, tra cui Jodie Foster (Beaver, Money Monster), Andrew Stanton (Alla ricerca di Nemo, Wall-E), Mark Romanek (One Hour Photo, Non lasciarmi), Ti West (The Sacrament, Nella valle della violenza). Mentre dal punto di vista attoriale troviamo attori praticamente sconosciuti ma bravissimi come Nicole Law, i piccoli Duncan Joiner e Abby Ryder Fortson, e volti ben noti al grande pubblico come Jonathan Pryce e Rebecca Hall.

Tales from the Loop

Difficile prevedere che tipo di accoglienza possa avere una serie di questo tipo, ma un dato è certo: Tales from the Loop è un esempio di grande qualità, una serie dall’afflato cinematografico che recupera quel ricercato sense of wonder che sul grande schermo stiamo un po’ perdendo a causa di ritmi concitati e un’ipertrofia di immagini. Tales from the Loop è come un sogno ad occhi aperti, di quelli che ci riecheggiano nella mente per giorni.

Roberto Giacomelli

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