La Gomera – L’isola dei fischi, la recensione

Il titolo scelto per rappresentare la Romania nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero 2020 è La Gomera di Corneliu Porumboiu, che dopo essere passato in concorso a Cannes 2019 è stato incluso anche nella sezione Festa Mobile del 37° Torino Film Festival.

Un film che si apre con i migliori auspici, a cominciare dai bei titoli di testa che scorrono sullo schermo e sui quali leggiamo un nome importante tra i produttori: quello della regista tedesca Maren Ade, autrice del bellissimo Vi presento Toni Erdmann, un nome che è una garanzia e le aspettative non vengono certo deluse.

Tra ambientazioni spagnole, intrepide e stupende donne d’azione, una trama accattivante e sempre sul punto di stupire lo spettatore, La Gomera potrebbe benissimo far pensare ad un qualsiasi film di James Bond, da cui il regista prende sicuramente spunto per l’eleganza della mise en scène. Invece ci troviamo più di fronte ad un classico gangster con personaggi archetipici, a cui i bravi interpreti del film non mancano di aggiungere qualche elemento sorprendente.

La trama ruota attorno a Cristi (Vlad Ivanov), un poliziotto corrotto e in combutta con la mafia spagnola. Nonostante la professione ufficialmente svolta e la scrupolosità con cui conduce i suoi interrogatori, capiamo subito di trovarci di fronte ad un insolito e solitario outlaw hero. Un ruolo rimarcato dal trattamento riservatogli dalla sceneggiatura, che fin dall’inizio rende noto che l’uomo sa di essere sorvegliato dai suoi stessi colleghi della centrale attraverso tre telecamere nascoste in giro per il suo appartamento. Così individuiamo uno dei tratti distintivi della regia di Porumboiu: il gioco degli sguardi.

Guardingo e talvolta perfino prepotente, Cristi viene contattato dall’astuta e bellissima Gilda (Catrinel Marlon), che lo conduce da Paco, un gangster spagnolo che necessita del suo aiuto per far evadere dal carcere Zsolt, un membro della sua band che gli ha sottratto un fruttuoso malloppo da 30 milioni di euro. Per mettere a punto il piano di Paco, Cristi deve però superare una grande prova: trascorrere alcuni giorni a La Gomera, una meravigliosa isola delle Canarie, per apprendere la lingua dei fischi. Sarà infatti attraverso quest’ultima che i complici comunicheranno tra loro durante la non semplice operazione, in modo da sfuggire al controllo della polizia e di Magda, l’ambiziosa superiore di Cristi.

Con La Gomera Porumboiu firma un appassionato incrocio di generi che gioca molto sull’originalità dell’idea centrale – la lingua dei fischi appunto – e sui momenti di suspence: ogni scena ci dà la sensazione che qualcosa stia per andare storto. Più di una volta, il regista richiama alcuni importanti lavori di Alfred Hitchcock (la femme fatale stile Intrigo internazionale e una quasi scena della doccia alla Psyco), dal quale prende anche l’uso del MacGuffin, mentre l’estetica sembra seguire più la scia di Frank Costello – Faccia d’angelo. Si va naturalmente ben oltre gli stilemi e gli omaggi più evidenti alla settima arte (da un incontro in una sala al buio ad una sparatoria su un set cinematografico), approfondendo i personaggi più enigmatici e aggiungendo qualche elemento di disturbo. Qui forse la sceneggiatura mostra però qualche pecca, dal momento che sembra più preoccupata delle azioni che delle emozioni, tuttavia il modo in cui riesce a legare i vari personaggi offre qualche piacevole colpo di scena che, più volte, finisce per ribaltare la situazione.

Porumboiu sembra consapevole dei limiti della sua scrittura e vi pone puntualmente rimedio attraverso una mise en scène che finisce per allungare alcuni momenti vuoti riempendoli invece della presenza dei personaggi, magari colti nella loro temporanea immobilità e attraverso l’alternanza dei primi piani. Così lo sguardo, a pari del fischio, diventa la lingua con cui comunicano i nostri protagonisti ed è proprio a partire da qui che vengono chiariti i rapporti di complicità, amore, diffidenza e protezione. Il trucco funziona e Porumboiu si dimostra un abile croupier. Anzi, in una delle scene iniziali affida a Gilda il compito di evitare l’occhio indiscreto delle telecamere nascoste nell’appartamento di Cristi.

L’autorialità del regista è evidente quindi negli stratagemmi narrativi attentamente studiati, oltre che nella coerenza tematica (il denaro rende praticamente tutti corruttibili), senza per questo perdere di vista la spettacolarità che contraddistingue la sua opera e che ne fa un vero e proprio gioiello.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Una narrazione incandescente e magnetica che si segue senza problemi.
  • La mano del regista è avvolgente e dà il suo meglio nei momenti in cui approfondisce le relazioni tra i personaggi semplicemente attraverso la resa scenica.
  • Una sequenza finale ad alta tensione.
  • C’è giusto un momento gratuito di troppo nella sceneggiatura.
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