Il Traduttore, la recensione

La passione fra Anna (Claudia Gerini) e Andrei (Kamil Kula) scoppia all’improvviso e inaspettata. Lei è un rispettabile antiquario, da poco rimasta vedova. Lui viene da Bucarest, studia Letteratura all’Università, si barcamena fra una miriade di incombenze, studio, lavoro in pizzeria e un supporto di traduzione a sostegno del lavoro d’indagine della Questura. Ci sarebbe anche una fidanzata da portare in Italia ma è evidente, già dal principio, come almeno per quanto riguarda questo argomento la testa di Andrei sia decisamente rivolta altrove.

L’abilità del nostro nel lavoro di traduzione, combinata a pressanti necessità materiali, crea le condizioni affinchè i due possano incontrarsi. Anna entra in possesso di un diario del marito scomparso; il diario è in tedesco, Anna non conosce la lingua e, rosa dalla curiosità, incarica il ragazzo di fornirle un’accurata traduzione. Il resto in parte si immagina e in parte deve essere lasciato alla sorpresa dello spettatore.

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Il Traduttore è il secondo lungometraggio di Massimo Natale, a sei anni di distanza dal precedente L’Estate di Martino.  La chiave del racconto è il personaggio di Andrei, il traduttore del titolo, un’autentica vita sospesa: i suoi sguardi, i suoi silenzi, parlano di quel tempo sospeso all’incrocio fra due culture, due paesi, due modi di intendere la vita. Il suo lavoro di traduttore implica una mediazione cui il ragazzo si presta più o meno spontaneamente. Rivede, aggiusta, modifica le parole e il loro senso, adattandole al contesto di riferimento e alle esigenze di comodo delle tante donne che definiscono la sua esistenza, adattando se stesso nel processo per saziare la sua ambizione sfrenata, la sua volontà di riconoscimento, la sua necessità di sentirsi “arrivato”, al netto di qualsiasi considerazione di ordine morale.

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A fronte di uno spunto di partenza senza dubbio interessante, lo sviluppo dell’idea sul piano pratico è alquanto zoppicante. Il problema fondamentale del Traduttore è che il film affoga nel mare sconfinato delle tante idee inserite con la forza all’interno del racconto. Paura, amore, voglia di ricominciare, integrazione, un accenno larvato al conflitto di classe, desiderio, sensualità, arrivismo. Un elenco minuzioso, probabilmente incompleto, sicuramente indicativo di una bulimia di motivi che finiscono per inaridirsi vicendevolmente, mancando la capacità di far maturare appieno le premesse iniziali. Molte promesse insomma, poca voglia o poca possibilità di mantenerle.

Sul piano dei toni, l’equilibrio è precario nella misura in cui si costruisce a partire dalla successione di una serie di atmosfere che vanno dal ritmo nervoso del thriller ai palpiti del cotè sentimentale. Si corre il rischio di sconfinare in territorio soap – opera (scampato per un soffio) e poi, proprio sul finire, emerge con forza il profilo morale del racconto.

Lo studio dei due personaggi principali, dei loro desideri e delle loro solitudini, conserva indubbiamente dei motivi d’interesse. Buona l’alchimia e la complicità fra i due attori principali.

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Nel complesso Il Traduttore è un film non del tutto riuscito, e si spera che sia a questo punto chiaro il perché. Ma non è trascurabile. Se non altro, vanta alcune scelte di regia degne di nota; pensiamo per esempio alla prima metà del film, basata su una serie di scarti improvvisi di montaggio, frammenti di vita, impressioni che pian piano si dilatano nella misura in cui le vite dei protagonisti del film si completano davanti ai nostri occhi.

In conclusione, un’opera che certo non eccelle, ma che allo stesso tempo non annoia, e non merita di essere liquidata con superficialità.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
La velocità dell’esposizione nella prima parte del film: ci troviamo immediatamente immersi nel racconto. I dialoghi, a tratti, stereotipati e davvero poco brillanti.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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