Venezia 72. Non essere cattivo

Ostia, 1995. Vittorio e Cesare sono due giovani che si sono fatti le ossa per strada. Nati e cresciuti nella borgata romana, i due ragazzi sono amici da sempre. Anzi, sono molto di più che amici. Due veri “fratelli di vita” che hanno improntato la loro esistenza sull’eccesso: notti in discoteca, risse di quartiere, prostitute, droghe sintetiche e spaccio di cocaina. Entrambi alla ricerca di una propria affermazione, personale e “professionale”, i due si trovano presto davanti ad un bivio in cui decidono di prendere strade diverse. Vittorio, dopo aver conosciuto Linda, decide di mettere da parte la vita di strada nella speranza di coltivare una famiglia e consiglia al suo amico di fare lo stesso. Cesare, inizialmente resistente all’idea di cambiare stile di vita, alla fine segue il consiglio di Vittorio e va a vivere con la sua ragazza, Viviana. Ma le regole della strada sono difficili da dimenticare e il loro richiamo è fortissimo. 

Il 26 maggio 2015 si è spento a Roma, all’età di 67 anni, Claudio Caligari. Malato da tempo, Caligari ha vestito i panni di un “protagonista” atipico nel panorama cinematografico italiano. Anzi, più che “protagonista” è stato un “personaggio secondario”, ma di quelli ben scritti e capaci di lasciare il segno pur stando molto poco sulla scena. Dopo una serie di documentari sul mondo dell’eroina realizzati sul finire degli anni ’70, Caligari ha iniziato il suo percorso cinematografico nel 1983 con il film Amore tossico. Un film intento a raccontare, in maniera cruda e realistica, l’amaro mondo della tossicodipendenza giovanile. Quindici anni dopo firma la sua seconda regia ed esce nelle sale L’odore della notte, un crime movie alternativo e interessato a raccontare la bassa criminalità romana.

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Dal 1998 (anno d’uscita de L’odore della notte) ad oggi Claudio Caligari è assente dal panorama cinematografico e nel frattempo che accresce la sua fama da regista cult non trapelano grandi notizie riguardanti i suoi passi successivi. Disaccordi con case di produzione e rallentamenti con l’ottenimento di finanziamenti statali, conducono il regista a stare ben diciassette anni lontano dal grande schermo. Finalmente questa “lunga pausa” è stata interrotta e il regista riesce a realizzare quello che è il suo terzo lungometraggio, nonché l’opera più completa e matura della sua carriera. Non essere cattivo è stato presentato fuori concorso alla 72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ottenendo un ottimo riscontro sia da parte del pubblico che della critica che lo premia con un corposo e duraturo applauso. Un applauso che, purtroppo, Claudio Caligari non ha avuto il piacere di ascoltare.

Indifferente alle nuove strategia di mercato imposte da Stefano Sollima con le serie di Romanzo Criminale e Gomorra, Claudio Caligari non si lascia influenzare minimamente e prosegue lungo il suo percorso portando avanti la sua poetica e il suo stile. Non ci sono criminali dallo charme elevato nel cinema di Caligari così come l’estetica appare volutamente grezza e cruda, sicuramente ben distante da quella messa in scena molto americana a cui Sollima ci sta abituando. Nonostante tutto, però, va subito sottolineato che Non essere cattivo non è propriamente un film sulla malavita o sulla criminalità da strada. L’ultimo film di Caligari, più che altro, si presenta come un ritratto antropologico e sincero di un piccolo e nutrito microcosmo sopravvissuto fino a qualche decennio fa: le borgate romane. Vittorio e Cesare, i due antieroi a cui il regista chiede di affezionarci, altro non sono che gli ultimi esponenti di un mondo che ormai non esiste più poiché “schiavizzato” e “stuprato” dalla mentalità del cittadino odierno che ha fatto suo il concetto secondo il quale per campare bisogna lavorare.

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Nelle borgate romane, quelle che ci ha fatto conoscere molto bene Pier Paolo Pasolini in Accattone, il lavoro è sempre stato visto come una pratica schiavizzante, un qualcosa di demoniaco utile solo a privare l’uomo della sua inalienabile libertà. Gli animali possono essere schiavizzati, non certo l’uomo. Era il 1961 quando Franco Citti, in Accattone, incarnava il tipico pensiero di borgata e adesso, cinquantaquattro anni dopo, Claudio Caligari ci racconta come è tramontata la mentalità delle borgate romane immergendoci in un racconto adrenalinico, ma anche ironico e commovente, i cui protagonisti sono due ragazzotti da strada piuttosto immaturi con tanta voglia di vivere e poca di lavorare. È errato considerare Vittorio e Cesare dei criminali, loro non lo sono affatto, sono anzi due giovani che portano dentro di loro valori molto forti di amicizia, famiglia e lealtà. Il loro modo di vivere è solamente il frutto di una cultura da strada con regole ben precise, che si tramanda generazione in generazione, e che insegna ad andare in giro con il “ferro”, anche scarico non importa, l’importante è avercelo perché denota una posizione rispettabile ed è sinonimo di coraggio e potere.

Ad interpretare questi “scarface” di metà anni ’90, Caligari sceglie due giovani attori che si destreggiano abilmente nella parte assegnatagli. L’incosciente Cesare è interpretato molto bene da Luca Marinelli mentre nei panni del più coscienzioso Vittorio troviamo il convincente Alessandro Borghi. Ad affiancarli ci sono le giovani Silvia D’Amico e Roberta Mattei, nei panni delle rispettive compagne di vita, ma va in oltre segnalato anche il simpatico cammeo del caratterista Emanuel Bevilacqua, storico amico del regista oltre che protagonista de L’odore della notte nei panni del Rozzo.

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Con Non essere cattivo, dunque, ci troviamo davanti ad un racconto fenomenologico interessato a documentare la fine di un’era – quella pasoliniana delle borgate – e la consecutiva nascita di un nuovo mondo tossico con nuove regole, nuovi valori, nuovi modus operandi. Un film che sicuramente non è privo di difetti, alcune svolte narrative sono un po’ ingenue o risapute, ma indubbiamente è un’opera che porta con se un valore che sempre più di rado si trova al cinema: l’anima.

Giuliano Giacomelli

Pro Contro
  • Un interessante spaccato fenomenologico a metà fra due realtà: l’epoca pasoliniana e il moderno mondo della tossicodipendenza.
  • Azione, ironia e commozione miscelati a dovere.
  • Un cast di giovani attori, tutti in parte e ben diretti.
  • L’opera più matura e completa di Claudio Calligari.
  • Alcune svolte narrative non convincono del tutto risultando un po’ troppo risapute o ingenue.
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