Venezia 75. Nessuno è innocente

Pur passando un po’ in sordina rispetto ai lungometraggi, alla 75esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia sono presenti anche numerosi cortometraggi, ai quali è dedicato un apposito concorso. Toni D’Angelo, dopo l’ottimo poliziesco Falchi (2017), partecipa alla 33esima Settimana Internazionale della Critica con il dramma/noir Nessuno è innocente (2018): co-prodotto da Minerva Pictures, ha aperto il 30 agosto la sezione dedicata ai corti. Il regista napoletano, figlio del celebre cantante e attore Nino D’Angelo, prosegue la sua personale esplorazione di Napoli attraverso un film avvincente e originale, un dramma umano e sociale sotto forma di noir e thriller, che in soli 20 minuti costruisce un percorso narrativo serrato e ricco di suspense.

Come attore protagonista, D’Angelo sceglie Salvatore Esposito – il popolare Genny Savastano della serie-tv Gomorra – attualmente uno degli attori napoletani più conosciuti e che più incarnano la “napoletanità”. Esposito interpreta Ermanno, un ingegnere che vive di pregiudizi riguardo Napoli: influenzato dai luoghi comuni, è convinto trattarsi di città abitata solo da delinquenti e assassini. Mentre vi si sta recando per concludere un importante appalto, ascolta alla radio una trasmissione che inasprisce ulteriormente la sua convinzione, e scopre che il luogo dell’appuntamento è la temutissima Scampia. In cerca della via fissata per la riunione di lavoro, incontra varie persone da lui puntualmente scambiate per delinquenti, durante un viaggio notturno nel quale scoprirà che nessuno è innocente: nessuno, nemmeno lui.

Se con Falchi Toni D’Angelo rappresentava una Napoli nerissima fatta di delinquenti e poliziotti dai metodi poco ortodossi e sviscerava certi milieu della malavita, con il suo nuovo film vuole mettere in scena l’altra faccia della medaglia, cioè demolire i pregiudizi sulla realtà partenopea. Attenzione però: Nessuno è innocente non vuole sminuire l’esistenza della camorra, bensì spiegare come la delinquenza sia solo un aspetto della città, e come i pregiudizi possano influenzare la visione del mondo esterno (il che, ampliando il discorso, non vale solo per Napoli ma per ogni ambiente). La vicenda è strutturata attraverso una narrazione che ricorda vagamente il celebre Fuori orario di Martin Scorsese, cioè un viaggio notturno dove il protagonista incappa in personaggi ambigui e in situazioni che fatica a comprendere. Le strade percorse in auto da Ermanno, accompagnate da una sonorità ostinata e martellante, riecheggiano anche le “strade violente” di Michael Mann, il realismo asciutto di Abel Ferrara e i viaggi al neon di N.W. Refn. Una struttura simile non è nuova per il regista, che l’aveva già sperimentata nel suo primo lungometraggio Una notte (2007). La regia si dimostra matura e in grado di dettare i tempi della narrazione – perché dirigere un cortometraggio non è mai semplice, implicando una costruzione dei tempi completamente diversa rispetto ai lunghi in quanto a narrazione, inquadrature e montaggio.

Toni D’Angelo gioca su un voluto effetto di straniamento, innanzitutto nella scelta dell’attore: uno dei protagonisti “gomorriani” per eccellenza, il sempre bravissimo Salvatore Esposito dimostra di saper essere un interprete maturo uscendo dal suo personaggio di Genny Savastano per incarnare un uomo qualsiasi, un “borghese piccolo piccolo” che come il celeberrimo personaggio di Alberto Sordi si macchierà le mani di sangue, sia pure per un equivoco. Dal ruolo del boss duro e spietato che siamo abituati a conoscere, si trasforma in un elegante e pavido ingegnere, sempre più impaurito man mano che il viaggio prosegue e incontra facce nuove, da lui viste come un pericolo. La regia fa immedesimare lo spettatore nel protagonista, lasciando volutamente in sospeso le intenzioni iniziali dei personaggi: una galleria di ritratti potenzialmente ostili che paiono quasi usciti da un thriller di Roman Polanski o da un amarcord felliniano. Incontriamo alcuni operai, un gruppo di giovani guappi, un’anziana signora, un barista molto accogliente (Gateano Di Vaio) e una bisbetica donna che gioca alla slot-machine (Loredana Simioli). Tutte persone comuni che vogliono solo aiutarlo, scopriamo noi spettatori, ma tutti criminali secondo l’ottica di Ermanno: e il paradosso del titolo è che l’unico vero colpevole della vicenda sarà lui. Un breve road-movie, dunque, dove il viaggio diurno e notturno, prima sulle tangenziali poi nelle strade di Napoli fino alle Vele di Scampia, diventa anche un percorso di formazione al contrario per il protagonista, che finisce per essere lui stesso uno di quei delinquenti tanto demonizzati da lui e dalla voce alla radio.

Tecnicamente, Nessuno è innocente conferma la perizia di Toni D’Angelo: fotografato in modo limpido e asciutto, con un gusto molto cinematografico, presenta inquadrature claustrofobiche sul personaggio alternate ad altre sulle strade – autentiche co-protagoniste della storia – con un montaggio serrato, ma anche finezze stilistiche quali l’inquadratura di Ermanno attraverso il finestrino con il riflesso delle Vele, oppure piani-sequenza che dal basso si alzano fino a stagliarsi sul profilo della città (un marchio di fabbrica della regia, le avevamo già viste in Falchi).

Il cortometraggio si avvale inoltre di ottimi caratteristi per i ruoli a latere, tutti napoletani: oltre ai già citati Di Vaio e Simioli, notiamo Riccardo Zinna nel ruolo del capo di Ermanno.

Davide Comotti

PRO CONTRO
  • Nel periodo in cui imperversano Gomorra e i suoi emuli, Toni D’Angelo propone una visione di Napoli completamente diversa.
  • Trattasi di un cortometraggio di 20 minuti con i tempi ben calibrati.
  • La storia è avvincente e narrata con un ritmo serrato.
  • Ottima performance di Salvatore Esposito e dei caratteri a latere.
  • Livello tecnico elevato, con fotografia e inquadrature ricercate.
  • Niente da segnalare.
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