Elle, la recensione

C’era un tempo in cui andavano forte i “rape & revenge”, un particolare filone realistico dell’horror in cui una donna vittima di violenza sessuale si vendica in maniera dieci volte più cruenta dei suoi stupratori. Un filone inconsapevolmente iniziato da Bergman con La fontana della vergine, reso famoso da Craven con L’ultima casa a sinistra e fiorito tra gli anni ’70 e ’80, con sporadici recenti esempi che sono, per lo più, remake di vecchi classici. Ora, in maniera del tutto singolare, anche il mitico Paul Verhoeven tenta la strada del rape & revenge, ma lo fa in maniera del tutto slegata dalla tradizione con Elle, un oggetto filmico affascinante e allo stesso tempo fortemente imperfetto.

In Elle facciamo la conoscenza di Michèle, una donna forte e indipendente che sta a capo di un’azienda che produce videogiochi. Un giorno Michèle viene aggredita e stuprata, dentro casa sua, da uno sconosciuto dal volto coperto da un passamontagna. La donna decide di non denunciare l’accaduto, ma si procura le armi e comincia a dargli la caccia.

Questo è solo l’incipit del nuovo film di Paul Verhoeven, quello che sulla carta lo identificherebbe come rape & revenge. Solo che Elle non si accontenta di un’etichetta di genere e va oltre in maniera così spudorata da perdere completamente un’identità: da dramma si trasforma in commedia e quell’anima thriller che lo muoveva diventa ben presto grottesco. E qui cade il gioco, perché Paul Verhoeven è un maestro nel muoversi su quel confine sottilissimo che separa il serio dalla farsa, abile fautore della satira sociale che in Elle sembra doversi scontrare con il senso dell’umorismo tipicamente francese, ovvero quello che ti prende un po’ alla sprovvista e non ti fa capire se devi ridere o meno.

Verhoeven è circa un decennio che latitava il mestiere, se escludiamo il mediometraggio Steekspel (2012), ovvero dal riuscito bellico Black Book (2006) e annovera in carriera pezzi da 90 come Robocop (1987), Atto di forza (1990) e Starship Troopers (1997). La sua cifra è sempre stata quella del paradosso, di situazioni apertamente di genere trattate con una serietà diegetica che quasi sempre è satira. Il genio, punto.

Con Elle siamo su lidi decisamente inusuali per Verhoeven, un film molto distante dal suo stile, benché la timida componente erotica riporta alla mente Basic Instint, Showgirls e Black Book, ma che palesemente non incontra in pieno il suo sguardo. Perché la storia thriller è esile e prevedibile, il grottesco lascia il ciglio aggrottato e l’unica cosa che davvero colpisce tanto da meritare l’applauso è l’interpretazione di una magnifica Isabelle Huppert, qui alla sua migliore prova da diversi anni a questa parte. Michèle è un personaggio sfaccettato, uno di quelli che piacerebbe alle postfemministe senza scadere nell’eccesso, l’immagine nell’emancipazione sessuale e sociale, la classica donna “con le palle” che però non dimentica di essere donna, impugna una pistola, è stronza sul lavoro, una dominatrice che desidera essere “posseduta” e ha un particolare rapporto con una madre che non si augurerebbe a nessuno. Non è un caso se il film si intitola Elle e non Oh…, come il romanzo di Philippe Djian da cui è tratto, perché Lei è al centro di tutto. Lei è il film.

Vincitore di due Golden Globe e due Cesar, entrambi al film e alla Huppert, Elle sembra aver convinto a pieno la critica, probabilmente la stessa critica che ottusamente ha spesso stroncato Verhoeven… e questo è ingiusto perché in una carriera lastricata di lingotti d’oro non si può preferire una lamina di bronzo.

Comunque questa particolare mistura tra dramma e commedia si lascia guardare con curiosità e piacere e la si apprezza più per la performance della protagonista che non per la scrittura indecisa.

Probabilmente al botteghino andrà malissimo, ma per Verhoeven è stata un’occasione per confrontarsi con il cinema francese dopo una carriera fatta di blockbuster a stelle e strisce e per un professionista del suo calibro vuol dire respirare.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Isabelle Huppert, bravissima.
  • Ad un primo acchito il passaggio innaturale tra dramma da rape & revenge a commedia lascia piacevolmente incuriositi.
  • Più si va avanti nella visione, più ci si rende conto che il miscuglio tra generi non è riuscito.
  • Il nodo giallo/thriller è prevedibilissimo.
  • Se potete guardatelo in lingua originale, il doppiaggio italiano è da film tv di quart’ordine.
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