Falchi, la recensione

Il tentativo da parte del cinema italiano di riappropriarsi di quei generi che ne hanno fatto la fortuna internazionale, di tanto in tanto, riemerge. Raramente spuntano esempi di ritorno all’horror, sconfinamenti nel fantastico e nella fantascienza, più frequentemente innesti action o polizieschi; ed è proprio guardando a una logica di “genere” che il regista e sceneggiatore Toni D’Angelo guida il suo ritorno al lungometraggio di ficton dopo alcune notevoli prove documentaristiche, firmando Falchi.

I Falchi sono una sezione della polizia italiana fondata per reprimere i cosiddetti “crimini di strada”. In sella alle loro moto, questi poliziotti in borghese cercano di contrastare il crimine per i vicoli delle città, là dove le volanti non riescono ad arrivare.

Decidere di fare un film su una tale premessa, soprattutto guardando alla magnifica tradizione “poliziottesca” del nostro cinema, fa venire l’acquolina alla bocca di qualsiasi incallito cinefilo amante del buon cinema di genere, e l’inizio del film di Toni D’Angelo rende giustizia a queste aspettative, con un inseguimento in sella alla moto tra i vicoli di Spaccanapoli, come se ci trovassimo nel miglior Lenzi. Però poi succede qualche cosa che non ci saremmo aspettati, Toni D’Angelo rigetta quella premessa e quel tipo di cinema e abbraccia con forza la via del melodramma. A detta dello stesso regista, la sua fonte d’ispirazione è il noir di Hong Kong, quello di Johnny To e John Who, per intenderci, e la preponderante presenza di personaggi dai tratti orientali avvalora questa tesi.

In Falchi si racconta la storia di Peppe e Francesco, due poliziotti della sezione speciale della Squadra Mobile di Napoli. Entrambi hanno vissuto recentemente la tragedia, Peppe a causa del suicidio del fraterno collega che gli ha lasciato in custodia il suo cane; Francesco perché si è reso involontariamente responsabile di un omicidio ai danni di un’innocente. Entrambi vivono la loro vita privata e professionale nel tormento, finché viene data ad entrambi un’occasione di riscatto.

Durante e dopo la visione di Falchi il sentimento che prevale è la delusione. Non perché si sia visto un brutto film, anzi, piuttosto perché le promesse – del fuorviante trailer, dell’accattivante locandina – non vengono mantenute e il poliziesco d’azione che molto probabilmente volevate vedere si rivela, in realtà, un drammone un po’ pretenzioso e anche abbastanza pesante.

Toni D’Angelo gira molto bene, ha un particolare gusto per l’inquadratura, ricercato e particolarmente cinematografico, che riesce a differenziare un prodotto come Falchi dal molto piattume televisivo italiano, allo stesso tempo la fotografia livida di Rocco Marra riesce a valorizzare le location rendendole molto internazionali e questo grazie anche alla scelta di non riprendere la Napoli turistica che purtroppo emerge stancamente dalle molte commedie ambientate nello splendido capoluogo partenopeo, ma ne cerca luoghi più inusuali e anonimi, come accade anche nella serie tv Gomorra. Anche le musiche, curate da Nino D’Angelo, papà del regista, ne escono vincenti con un sound che mixa sonorità tipiche del cinema thriller con inconfondibili ballate del Sud Italia.

La sceneggiatura, però, non brilla per particolari qualità, anzi mostra diversi limiti che si traducono innanzitutto nella mancanza di un concept sufficientemente forte da essere sviluppato in un lungometraggio. Alla base del film sembra esserci soprattutto l’idea di portare in scena la Squadra Falchi, ma nel film il lavoro dei due protagonisti è del tutto marginale a discapito delle vicende personali dei protagonisti. E anche nel descrivere i due, il film appare piuttosto indeciso: Peppe e Francesco non hanno un vero background capace di renderli interessanti a prescindere. Se c’è del fascino in loro è dato esclusivamente dall’estrema bravura dei due attori scelti, ovvero il Fortunato Cerlino di Gomorra e Michele Riondino, visto di recente in La ragazza del mondo. La vicenda di Peppe/Cerlino si sviluppa interamente attorno al lascito del suo collega, un bellissimo Corso, e ai combattimenti clandestini di cani a cui il personaggio era solito; Francesco/Riondino è invece ossessionato dal suo deplorevole gesto e cerca riscatto nell’amore di una prostituta cinese che, neanche a dirlo, lo porta a scontrarsi con la stessa criminalità organizzata che sta dietro i combattimenti tra cani.

Manca un vero collante a Falchi, un motivo che riesca a tenere desta l’attenzione dello spettatore, e l’indecisione sul tono da assumere – di tanto in tanto sono inserire scene d’azione abbastanza decontestualizzate – ne fanno un film con poca personalità.

Francamente è un gran peccato che Falchi risulti un prodotto ibrido e indeciso, con un concept più accattivante e una maggiore determinazione sulla strada da seguire (che doveva essere il poliziesco alla Di Leo, c’è poco da girarci attorno…) sarebbe potuto venir fuori un nuovo classico del genere.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Regia attenta e fotografia di qualità.
  • Bravi i due interpreti.
  • La scelta di mostrare una Napoli lontana dalle solite immagini da cartolina.
  • Sceneggiatura poco incisiva e altalenate gestione dei personaggi.
  • Il film cerca una sua dimensione nel noir di Hong Kong, ma ne viene fuori un melò abbastanza noioso.

 

Vi mostriamo un video backstage che, attraverso l’utilizzo delle go-Pro, ci mostra il punto di vista dei Falchi tra i vicoli di Napoli.

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