Il Re Leone, la recensione

il re leone

Nel giugno del 1994 (nel periodo natalizio in Italia), usciva nei cinema Il Re Leone, 32° Classico Disney che segnava l’apice del successo della casa di produzione in quello che è stato definito il periodo del Rinascimento Disney. Il film d’animazione diretto da Roger Allers e Rob Minkoff, infatti, oltre a ricevere l’unanime plauso della critica, diventò in breve tempo il maggior incasso di tutti i tempi per un film d’animazione ed è tutt’oggi il film d’animazione tradizionale di maggior successo negli Stati Uniti. Inoltre, Il Re Leone portò a casa ben due Oscar, tre Golden Globe e ne è stato tratto un musical a Broadway che vinse ben sei Tony Awards. Insomma, un successo a tutto tondo.

Ma Il Re Leone è anche uno dei film d’animazione maggiormente rimasto nel cuore degli spettatori, grandi e piccoli, godendo ancora oggi, nel 2019, di una popolarità invidiabile. Eppure Disney ci riprova e nel turbine dei remake che sta investendo lo studio di Burbank, anche Il Re Leone è stato “rifatto”.

Stavolta, però, a differenza del trend che vuole delle versioni live action dei classici d’animazione e che ha interessato Cenerentola, La bella e la bestia, Il libro della giungla, Dumbo e Aladdin, si punta su una tecnica innovativa definita foto-real: in pratica è animazione in CGI, ma lo scopo è quello di riprodurre scenari e personaggi come se si trattasse di realtà. Il risultato è impressionate: oltre alla ricostruzione di location naturali africane praticamente indistinguibili da quelle reali, anche l’accuratezza del dettaglio nel look degli animali è quanto di più inquietantemente vicino alla realtà mai visto al cinema.

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A firmare Il Re Leone versione fotorealistica è Jon Favreau, regista dei primi due Iron Man e già alle prese con il remake Disney Il libro della giungla, che si attiene al classico del 1994 in maniera quasi maniacale. Non si tratta di un remake shot-by-shot, dal momento che dura quasi mezz’ora in più, ma Il Re Leone 2019 è, ad oggi, il remake Disney più fedele all’originale, con tanto di medesime battute e la riproposizione delle stesse inquadrature nella costruzione di alcune scene. Il risultato è un’opera che riempie gli occhi, un costante “wow” che sicuramente toccherà un punto saldo nella storia della tecnica cinematografica.

Ma c’è da dire che un film così sperimentale, importante nell’iter tecnologico della settima arte, riesce anche a parlare al cuore degli spettatori così come nel 1994 lo aveva fatto il capolavoro d’animazione.

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Qualcuno potrà obiettare che tanta perfezione stilistica, un simile foto-realismo possa andare a discapito delle emozioni e questo è sicuramente un dato individuale da valutare in base alla sensibilità del singolo spettatore. Ma lo scopo di Disney, la sfida di Favreau è proprio questa: differenziarsi dalla perfezione del precedente film attraverso l’utilizzo della tecnologia e lasciare immutato l’afflato narrativo perché capace di toccare corde emozionali molto alte. La sfida è vinta perché se da una parte è impossibile non commuoversi in determinati punti, dall’altra possiamo fruire di quella storia attraverso immagini realistiche che ci trasportano davvero nella savana africana affianco a Simba, Nala, Zazu e i simpatici Timon e Pumbaa. È un’esperienza abbastanza singolare che nel coerentissimo iter disneyano rappresenta uno step importante.

Si diceva dell’assoluta fedeltà di questa versione de Il Re Leone all’originale, anche per quando riguarda i momenti musicali, con quell’eco shakespeariana che sa coinvolgere, commuovere e appassionare un pubblico molto vasto. Al prototipo, però, si aggiungono più scene con Nala donandole un ruolo maggiormente centrale, riscrivendone quasi il valore eroico, tutto estremamente in linea con l’attualità ma senza strafare come accaduto, ad esempio, in Aladdin.

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Come è facile aspettarsi, tra le cose più riuscite di questo remake troviamo Timon e Pumbaa, i compagni di viaggio di Simba e filosofi dell’hakuna matata, che nonostante l’aspetto realistico e l’impossibilità di farsi quindi protagonisti di siparietti visivamente comici (scordatevi la danza hawaiana), travolgono con la loro simpatia affidata alla parlantina del suricato e l’invadenza corporea del facocero.

Un ottimo lavoro davvero sotto tutti i punti di vista che può essere criticato, se vogliamo cercare il pelo nell’uomo, proprio nell’assoluta fedeltà che ne fa un prodotto tanto accattivante e “utile” per le nuove generazioni, quanto ridondante e “inutile” per chi il classico lo conosce bene. Ma c’è il valore sperimentale a correggere l’utilità, come si diceva, dato che ovviamente potrà essere colto e valutato dagli addetti ai lavori e pochi altri.

Un discorso a parte va fatto sull’adattamento italiano del film. Se troviamo attori professionisti e talentuosi a prestar la voce ad alcuni personaggi, come Massimo Popolizio (Scar), Edoardo Leo (Timon) e Stefano Fresi (Pumbaa), purtroppo abbiamo anche la scellerata scelta di far doppiare i protagonisti Simba e Nala in versione adulta a due voci estranee al mondo del doppiaggio e della recitazione. Si tratta di Marco Mengoni ed Elisa Toffoli, tanto ipnotici nel loro mestiere di cantanti quanto goffi nel doppiaggio, con voci inappropriate e poco attente alle tonalità recitative. Un vero peccato che va ad inficiare sull’esperienza generale di visione (almeno in versione italiana).

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un importante traguardo nell’avanguardia tecnica del cinema d’animazione.
  • Rimane fedele all’originale non stravolgendone l’intensità narrativa.
  • Rimane così fedele all’originale che, da un certo punto di vista, è anche un po’ inutile…
  • Il doppiaggio italiano di Simba e Nala.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Il Re Leone, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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