Il Signor Diavolo, la recensione

1952. Il funzionario ministeriale Furio Momentè viene mandato dai suoi superiori in Veneto per far chiarezza su un caso di omicidio che implica un minore, che ha ucciso un suo coetaneo convinto di uccidere il Diavolo. Il compito primario di Furio è contrattare con la madre della vittima per far si che non sia coinvolta nella vicenda la Chiesa, dal momento che il periodo elettorale si avvicina e uno scandalo di questo tipo potrebbe gettare in cattiva luce il partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana. Ma il caso del piccolo Carlo è ben più complesso di quello che si potrebbe aspettare, intriso di un’aura inquietante che getterà nel dubbio Furio e le sue convinzioni.

A distanza di ben dodici anni dal suo ultimo horror, Il nascondiglio, Pupi Avati torna a dirigere un film pregno di mistero e capace di toccare corde di inquietudine molto profonde, Il Signor Diavolo.

Siamo nei territori del gotico rurale, genere particolarmente congeniale ad Avati con il quale ha posto delle vere e proprie pietre miliari nel cinema italiano di genere, come La casa dalle finestre che ridono (1975) e Zeder (1983). Ma la carriera di Avati, che ha dato priorità a commedie agro-dolci nostalgiche e ricche di elementi autobiografici, si è spesso avventurata nei territori dell’orrore, fin dagli esordi, mostrando una grande coerenza di tematiche ed atmosfere. Da Balsamus, l’uomo di Satana (1970), Thomas e gli indemoniati (1970), i già citati La casa dalle finestre che ridono e Zeder, L’arcano incantatore (1996), fino ad arrivare a Il nascondiglio (2007). Una manciata di titoli che sono riusciti a lasciare il segno raccontando un’Italia poco nota, quella della superstizione, della paura che si nasconde nella fede, dei segreti irraccontabili. Orrori che si dipanano nelle campagne a nord dello Stivale, soprattutto nella Romagna tanto cara all’autore bolognese, legate alla dimensione religiosa, descritta come tabernacolo di misteri maligni, capro espiatorio di indicibili orrori.

Il Signor Diavolo non fa eccezione, anzi si carica di tutti quei valori che hanno contraddistinto in quasi cinquant’anni il cinema di Pupi Avati.

Il signor diavolo

L’ambientazione non è romagnola ma veneta, una laguna crepuscolare che riesce a trasmettere un senso di disagio, quasi a far respirare quel calore umidiccio che trasuda dai volti dei personaggi. La vicenda parte da un appetitoso spunto di costume, legato ai sotterfugi “all’italiana” sempre attuali utili a spingere una fazione politica piuttosto che un’altra. Ma al centro di tutto c’è una storia nerissima che implica la morte di un minore e si allarga esponenzialmente fino a coinvolgere l’intera comunità. La superstizione gioca un ruolo primario e si muove continuamente su quel confine che la fa confondere con la religione: il Diavolo è l’elemento cardine, non Dio! Va temuto e rispettato, gli si deve dare del “Signore” per tenerlo al suo posto, è lui che detta le regole! Riflessioni apparentemente critiche verso la Chiesa che hanno invece un valore antropologico molto importante fatto di culti reali che distorcono i messaggi religiosi, generano odio e paura verso il diverso.

Il signor diavolo

Ispirandosi con una fedeltà tradita dal finale al suo omonimo romanzo, Pupi Avati con Il Signor Diavolo aggiunge un pezzo alla sua collezione di orrori gotici. Lo fa con il rigore formale che lo ha sempre contraddistinto e con quella innata capacità di dirigere in maniera impeccabile tutti i suoi attori. Attori avatiani in gran parte, ma relegati in ruoli secondari, come Lino Capolicchio, Alessandro Haber, Gianni Cavina, Chiara Sani, Massimo Bonetti, lasciando spazio ai giovani ed efficacissimi Gabriel Lo Giudice, Filippo Franchini e Lorenzo Salvatori. Anche se il personaggio più complesso e che forse rimane più impresso è quello dell’amorevole e perspicace madre dal pugno di ferro interpretata da Chiara Caselli.

Una sceneggiatura quadrata, curata dallo stesso Pupi Avati insieme al fratello Antonio e al figlio Tommaso, cede un po’ il fianco giusto nella chiusa finale, quella riscritta appositamente per il cinema che, paradossalmente, appare molto poco cinematografica, quasi un anticlimax che lascia lo spettatore freddo.

Il signor diavolo

Non sempre funzionano gli effetti speciali, qui più abbondanti in confronto ad altri film di Avati, che implicano momenti molto cruenti curati dal Maestro Sergio Stivaletti ed effetti visivi posticci ed evitabili.

Nel suo complesso Il Signor Diavolo funziona, sicuramente meno delle precedenti prove orrorifiche di Avati perché non sempre riesce a far collimare la classicità del racconto e dell’impostazione generale con i ritmi e i linguaggi del cinema moderno, ma riesce nell’intento di lasciare una vena di disagio nello spettatore, un’inquietudine infida che lo accompagna ben oltre la visione.

Il Signor Diavolo sarà nei cinema italiani dal 22 agosto distribuito da 01 Distribution.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • L’atmosfera malsana generale.
  • La direzione degli attori.
  • Racconta una storia inquietante e avvincente.
  • Il finale funziona meno di quello che si sarebbe potuti aspettare.
  • Alcuni effetti speciali lasciano a desiderare.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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