La notte del giudizio – Election Year, la recensione

Nel 2013 James DeMonaco ha scritto e diretto La notte del giudizio, un piccolo thriller che si faceva forte di una grande idea: e se per contenere la criminalità negli Stati Uniti istituissero una giornata all’anno, detta dello “sfogo”, durante la quale ognuno può scatenare i più violenti istinti senza ripercussioni legali? A produrre quell’opera sono stati il guru del cinema di genere a basso budget Jason Blum insieme alla Platinum Dunes di Michael Bay, e i circa 3 milioni di dollari investiti ne hanno fruttati quasi 100 in tutto il mondo. L’idea originale che ne stava alla base sicuramente ha ripagato l’esito del film, dal momento che James DeMonaco è stato chiamato per realizzare un sequel nel 2014, Anarchia: La notte del giudizio, anche più convincente del predecessore, e ora un terzo e altrettanto valido capitolo, La notte del giudizio – Election Year.

Viste le ottime critiche ricevute da Anarchia, anche il terzo capitolo de La notte del giudizio si distanzia dalle atmosfere horror del primo film per legare il franchise a quelle del thriller d’azione violenta di stampo urbano. In La notte del giudizio – Election Year ritroviamo Leo Barnes (Frank Grillo), vendicativo protagonista del precedente film, ora impegnato nel ruolo di guardia del corpo della senatrice Charlie Roan (Elizabeth Mitchell). La donna, che ha perso la sua famiglia proprio durante una precedente notte dello sfogo, è intenzionata a un drastico piano: se verrà eletta abolirà una volta per tutte la notte dello sfogo. I suoi avversari politici, però, non possono permettere un simile affronto e così decidono di ucciderla, approfittando proprio l’imminente notte dello sfogo.

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Così come accadeva in Anarchia, anche La notte del giudizio – Election Year sviluppa gran parte dell’azione in scenari esterni, però riduce la coralità di quel film aggiungendo ai due protagonisti solo un terzetto di personaggi: il negoziante di colore Joe (Mykelti Williamson), il suo garzone (Joseph Julian Soria) e una loro amica (Betty Gabriel), ex criminale che ora ha messo la testa a posto. I tre, che incrociano la loro strada con quella della senatrice Roan, devono vedersela con una banda di muliebri teppiste che vogliono distruggere il negozio di Joe e possibilmente uccidere chi vi è dentro.

Il contesto politico, presente fin dal prototipo, viene sviluppato con maggior pregnanza che in passato. L’universo distopico creato sagacemente in questa saga giunge così al suo culmine con il capitolo più esplicitamente politico e quella metafora della società americana contemporanea trova qui la quadratura del cerchio. Con questo film, James DeMonaco conferma una vena autoriale che ci auguriamo rimanga anche al di fuori di questa saga e realizza il capitolo più maturo de La notte del giudizio, anche se a livello di intrattenimento sta mezzo gradino sotto ad Anarchia. La violenza si smorza un pochino e quelle virate ultra-gore dei due precedenti film lasciano il passo a qualche fuori campo di troppo, anche se c’è da dire che la scena d’assedio fuori dal negozio ha una potenza deflagrante e liberatoria che non ci abbandona neanche una volta usciti dalla sala.

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Come si era già abbondantemente intuito con Anarchia, James DeMonaco è un fan di John Carpenter e in Election Year si respira quell’aria da western urbano a cui il regista di Fuga da New York ci abituato. Ed è proprio al capolavoro con Kurt Russell che sembra guardare DeMonaco con questo terzo film, a cominciare da un concept di base che molto ricorda la missione di Snake Plissken nel film del 1981. Ovviamente il Leo Barnes di Frank Grillo non ha neanche un decimo del carisma del magnifico galeotto interpretato da Kurt Russell, ma la portata epica e anticonformista dell’opera carpenteriana è ben restituita.

Un plauso particolare va alle magnifiche e inquietantissime maschere indossate dalle bande che scorrazzano per la città durante lo sfogo annuale, che riproducono a loro modo i simboli degli Stati Uniti.

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Non distanziandosi troppo dalla qualità generale di Anarchia, La notte del giudizio – Election Year convince in pieno confermando la bontà e l’intelligenza di una saga che fa dell’azione violenta e delle suggestioni horror un perfetto veicolo per lanciare frecciate velenose all’America conservatrice e reazionaria.

Uno degli esempi più felici di b-movie politicamente impegnato.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Election Year porta a una naturale evoluzione la saga e lo fa con coerenza e senso dello spettacolo.
  • Le magnifiche maschere dei villain.
  • La portata sociale di questo film è molto ben utilizzata.
  • Molto carpenteriano.
  • Diminuisce la violenza in confronto ai due capitoli precedenti e questo è un decisivo “contro” per un film di questo tipo.
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