La vedova Winchester, la recensione

Il filone delle ghost stories e delle case infestate, nello specifico, è tra i più antichi rappresentati del genere horror, appartenuto tanto al cinema delle origini quanto alla corrente gotica che ha attraversato i decenni del ‘900, fino alla più recente esplosione di produzioni a basso/medio budget delle majors. Un filone che si adagia su meccanismi collaudati ed elementi ricorrenti, che preferisce la creazione dell’atmosfera alla violenza grafica e che in molte occasioni è riuscito a dar vita a dei veri e propri caposaldi del cinema (non solo horror) grazie a una sapiente costruzione degli spazi e un’adeguata rielaborazione dei topoi tipici del filone.

Un film che sulla carta poteva ambire a diventare un nuovo classico della ghost story è La vedova Winchester, scritto e diretto dai fratelli Michael e Peter Spierig e tratto dalla vera storia avvolta di mistero che si cela dietro l’abitazione dei Winchester, il cui capostipite inventò il celebre fucile che da lui ha preso il nome. Dico “poteva” perché, al di là delle ottime premesse e da una trama originale, La vedova Winchester si accontenta essere una delle molte ghost stories omologate alle più recenti produzioni, realizzate in pochi ambienti e affidate per lo più all’abusato espediente dello “jump scare”.

Nel 1906 la società Winchester convoca il dottor Eric Prince per valutare la sanità mentale di Sarah Winchester, anziana vedova dell’uomo che ha fondato la società che produce armi da fuoco. La donna, infatti, è convinta che le anime di coloro che sono stati uccisi con le armi da loro prodotte vaghino in un limbo tra la vita e la morte, vogliose di vendetta. Per questo motivo, consigliata da una medium, Sarah Winchester ha fatto costruire una casa in California, in cui vive con la nipote e il figlio di lei, con l’intenzione di intrappolare al suo interno gli spiriti che la perseguitano: la casa, infatti, è in continua costruzione, con aggiunta di stanze su stanze, ognuna delle quali dovrà imprigionare un’anima. Eric, che non si è ancora ripreso dalla morte della moglie Ruby e ha dipendenza da laudano, scopre ben presto che la “follia” nella mente della vedova Winchester sembra essere ben più concreta di quanto pensino al consiglio di amministrazione della società.

Con uno spunto molto interessante che fa viaggiare la fantasia sulla vera storia che ha accompagnato gli ultimi anni di vita di Sarah Winchester, il film dei fratelli Spierig cerca di dare un background a quella che ancora oggi è considerata una delle case più “infestate” degli Stati Uniti. L’idea di trasformare la tenuta Winchester in una prigione per fantasmi inquieti è molto efficace anche se richiama il cult di William Castle I 13 fantasmi (1960) e in maniera ancor più prepotente il suo remake del 2001 diretto da Steve Beck.

Una casa in perenne costruzione, in cui i lavori non si fermano neanche di notte e ogni nuova stanza è una cella in cui possano essere reclusi spettri vendicativi. Molto suggestivo, davvero.

A questo va unito anche lo spirito critico verso una società fondata letteralmente sul sangue sparso a causa delle armi da fuoco, vera passione feticista dell’America di ieri così come di oggi. Il culto per fucili e pistole, oggetti di morte capaci di ritorcersi contro i carnefici attraverso una maledizione proveniente dall’aldilà.

Insomma, suggestioni che giustificano la voglia di costruirne attorno un film non sia il “solito film”. E invece, i fratelli Spierig, che vengono dal pessimo Saw: Legacy ma hanno in curriculum ottimi titoli come Undead, Daybreakers – L’ultimo vampiro e Predestiation, riescono ad utilizzare questi spunti vincenti solo in superfice realizzando un film che è molto omologato alla massa degli horror soprannaturali che affollano le sale da un po’ di anni a questa parte. Soprattutto si nota un’incapacità nel creare la tensione che non deriva praticamente mai dalla costruzione della giusta atmosfera e ogni scena di spavento si limita a riproporre telefonatissimi giochi di specchi o brevi sequenze che inducono al balzo dalla poltrona con la consueta alternanza di piani sonori.

Anche lo sviluppo dei personaggi è abbastanza risaputo: un protagonista (Jason Clarke) dal passato tragico pronto a tormentarlo, il solito bambino un po’ inquietante messo lì per far da ricettacolo per le forze maligne e un personaggio femminile (Sarah Snook) buono e puro che sta a rappresentare l’elemento positivo in un mondo corrotto dalla violenza. Giusto la vedova che da titolo al film, interpretata da una sempre brava Helen Mirren, offre qualche spunto di originalità in più grazie a un personaggio che vive costantemente sul confine che separa la lucidità dalla follia, una donna che sa quello che vuole e va diretta verso il suo obiettivo malgrado tutti la considerino pazza.

Durante il tour promozionale del film, l’attrice Helen Mirren – che ha dichiarato di non amare il genere – ha ribadito che La vedova Winchester non è un film horror, ma una ghost story d’atmosfera che va oltre. Sicuramente il film dei Spierig sarebbe potuto essere un’opera borderline capace di traslare il genere, le basi c’erano tutte e il soggetto è da grandi promesse, ma di fatto La vedova Winchester non solo è un film horror in piena regola con tutti i “trick” del caso, ma è anche una ghost story che avete già visto dozzine e dozzine di volte. L’intrattenimento da b-movie c’è, ma si poteva (e doveva) sicuramente fare di più. Peccato.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una ghost story onestissima che utilizza tutti gli espedienti del caso per far saltare dalla poltrona.
  • Un buon cast guidato da Helen Mirren, qui in un ruolo inedito per lei.
  • Il soggetto è davvero accattivante.
  • Malgrado le potenzialità del soggetto, è venuto fuori davvero il solito film di fantasmi.
  • Manca la volontà di creare la tensione con l’atmosfera e si fa ricorso ai classici jump scares.
  • Le scenografie a volte lasciano un po’ a desiderare e si percepisce che il film sia stato girato in un teatro di posa.
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