TFF33: La felicità è un sistema complesso

Enrico Giusti (Valerio Mastandrea) è uno specialista ma definire quello in cui eccelle è un po’ più complesso. Questo perché Enrico lavora per una particolare società che si preoccupa di togliere dalle mani di egoisti e scansafatiche figli di papà le loro aziende che hanno portato sull’orlo del fallimento. Enrico li chiama le locuste ed è proprio lui il grande professionista che grazie a raggiri e dolci parole riesce nell’impresa impossibile. Non c’è nessuno come lui.

Ed Enrico, paladino giustiziere, ha una forte morale e una forte etica al riguardo: fa quello che fa per evitare che tantissime persone perdano il lavoro, per creare un futuro migliore, per fare la differenza. Ha un bell’appartamento moderno e conduce una vita metodica e rigida, con orari assurdi ben calibrati, tutto è organizzato alla perfezione, niente sorprese.

Questo fino a quando si ritrova Achrinoam nel soggiorno.

Lei è una cosiddetta amica del fratello minore di Enrico, Nicola, che è dovuto partire per il Chiapas all’improvviso e l’ha indirizzata dal fratello per aiuto e ospitalità. Ovviamente Nicola, l’eterno fanciullo che non vuole mai crescere, non è davvero partito ma ha solamente smodato la ragazza al più coscienzioso Enrico, però spaventato dalle responsabilità.

Intanto ad Enrico viene proposto un nuovo caso: due fratelli, di cui il maggiore appena diciottenne, che in seguito alla prematura morte dei genitori hanno ereditato l’azienda di famiglia, un’azienda che consta di circa otto filiali fra Italia ed estero. A questo punto si innesca la concatenazione di eventi che porterà inesorabilmente verso il finale.

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Enrico, sebbene si faccia più scrupoli del solito data la giovane età dei “clienti”, accetta il caso sotto le pressioni dei suoi principali e allo stesso tempo deve prendersi cura di Achrinoam, che dopo un tentato suicidio necessita di una sua presenza costante.

Ovviamente le spire narrative si avviluppano sempre più attorno al protagonista, quasi claustrofobiche, ponendogli davanti ostacoli tragicomici che lo porteranno a mettere in discussione tutto quello che aveva creduto fino a quel momento, facendogli aprire gli occhi su una vita passata che aveva sempre edulcorato per non vedere la verità. E altrettanto ovviamente la presenza della bella ragazza israeliana nella sua vita contribuirà in maniera decisiva a questo cambio di orientamento ma anche l’incontro con Filippo e Camilla, le due locuste su cui sta lavorando che forse tanto locuste non sono.

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Insomma niente di nuovo sotto il sole. L’idea di partenza è, se non originale, quanto meno interessante e il film ci regala anche dei bei momenti, legati principalmente alla comicità di Mastandrea, ma anche immagini d’effetto soprattutto legate alla morte dei genitori delle piccole locuste, come l’incidente in macchina o la potente immagine del cimitero gremito di persone che possiamo immaginare accorse solo per interesse. Poi però la storia si perde. Passaggi narrativi che sembrano ritornare su sé stessi senza aggiungere nulla di nuovo in termini di trama, dialoghi poco convincenti e certo non aiuta la recitazione dei due giovani del film (anche se questo è il minore dei problemi). Ad un certo punto la pellicola sembra inerpicarsi per tornanti narrativi (anche visivamente, siamo fra le montagne trentine) dando l’impressione di aver perso la bussola, di essersi avventurata troppo oltre senza sapere poi come e soprattutto quando tornare a casa.

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Trascendendo da questo aspetto di sicuro non trascurabile, poi, la storia segue le orme già viste del “giustiziere” che si accorge di aver perso la retta via, di essere andato contro i suoi stessi principi ed inizia il suo viaggio di redenzione mettendosi in gioco e accettando verità scomode su sé stesso: guarda caso il protagonista si chiama anche “Giusti”.

Il film si salva, ma proprio sul calcio di rigore, grazie appunto all’interpretazione di Mastandrea, con un’eterna espressione da adorabile sfigato che conquista ad ogni battuta, e Hadas Yaron la bella e brava israeliana che mette in crisi il protagonista. Nel complesso rimane un film godibile e divertente ma, una volta finito, non lascia in chi lo guarda nulla di più che un fugace sorriso.

Michela Marocco

PRO CONTRO
  • Valerio Mastandrea e Hadas Yaron.
  • Battute inconsuete che riescono nonostante tutto a divertire.

 

  • Storia già vista e una messa in scena non particolarmente degna di nota.
  • Ripetitivo e lento.
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