TSplusF20. Sputnik, la recensione

Stando al crescente numero di opere prodotte ogni anno, il cinema fanta-horror russo sta attraversando un vero e proprio periodo di rinascita che si potrebbe far risalire grossomodo al primo lustro degli anni 2000, quando usciva nei cinema I guardiani della notte (2004) di Timur Bekmanbetov, che oltre a donare al futuro regista de La leggenda del cacciatore di vampiri un biglietto di prima classe per Hollywood, ha spianato la strada a certo cinema d’intrattenimento che sembrava precluso alla nazione più estesa del mondo. Così, tra il torture-porn di Captivity (2007), il survival movie mockumentary di Devil’s Pass (2013), la fiaba gotica Vij – La maschera del demonio (2014), gli spettri di The Bride (2017), i mutanti di Guardians – Il risveglio dei guardiani (2017) e le creature marine di The Mermaid – Il lago della morte (2018), il passo verso un gioiellino come Sputnik è stato breve.

Vincitore del Premio Asteroide e del Premio del pubblico MyMovies alla 20ª edizione del Trieste Science + Fiction Festival, Sputnik è il primo lungometraggio di Egor Abramenko che espande l’idea del suo cortometraggio The Passenger (2017) strutturandola in modo tale da reggere 115 minuti di tensione.

1983. La navetta russa Orbit-4 sta facendo ritorno sulla Terra quando una misteriosa creatura crea il panico tra i due astronauti nell’abitacolo. Il drammatico atterraggio uccide uno dei due, mentre l’altro, Konstantin Veshnyakov, viene trasportato di fretta in una base militare per essere esaminato e trascorrere il periodo di quarantena necessario. Veshnyakov non presenta ferite ne traumi a parte una perdita di memoria sugli accadimenti delle ultime ore, anzi mostra una particolare prestanza fisica anomala per una persona in condizioni di stress. Il Colonnello Semiradov e il suo team si accorgono però che il cosmonauta non è tornato da solo ma ospita un parassita extraterrestre che ogni notte esce fuori dalla sua bocca in cerca di cibo. Viene contattata la scienziata Tatyana Klimova, una giovane ma determinata psichiatra nota per la capacità di gestire le situazioni più critiche. Sarà suo compito scoprire cosa vuole la creatura extraterrestre e capire se Veshnyakov potrà uscirne incolume.

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Se la storia dell’astronauta di ritorno sulla Terra con un alieno dentro innesca in voi immediatamente ricordi cinefili e vi riporta ai cultissimi della fantascienza classica L’astronave atomica del dottor Quatermass (1955) e Ho sposato un mostro venuto dallo spazio (1958), oppure ad esempi relativamente più recenti come Species 2 (1998) e The Astronaut’s Wife (1999), sappiate che Sputnik riesce a prendere una strada molto differente scongiurando qualsiasi reale pericolo di déjà-vu. Piuttosto, il bel film di Egor Abramenko potrebbe essere visto idealmente (ma non lo è!) la prosecuzione di Life – Non oltrepassare il limite (2017), il riuscito horror fantascientifico con Jake Gyllenhaal e Rebecca Ferguson che finiva proprio come Sputnik inizia.

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Ambientato negli anni che vedevano ancora accesi flebili fuochi di Guerra Fredda, Sputnik prende il titolo proprio dal nome del satellite emblema del duello spaziale tra la superpotenza sovietica e gli Stati Uniti, impegnati nel lungo trentennio che li ha visti politicamente contrapposti in una sfida per la conquista dello spazio e per aggiudicarsi il primato scientifico mondiale. Il film di Abramenko, però, non è interessato alle dinamiche della Guerra Fredda e, a parte un non banale accenno auto-critico alle strategie di terrore interne al regime e relative alla sorte dei prigionieri, si focalizza sul “qui ed ora” dell’incontro ravvicinato con l’essere extraterrestre. Una creatura dal riuscito look a metà tra l’insetto e il cobra, realizzato da un ottimo team di effettisti, che riesce a far ribrezzo, incutere timore e, al tempo utile, anche a suscitare un po’ di pena, visto il suo status di prigioniero. Sputnik, però, non vuole essere il classico film sul contagio alieno in stile L’alieno di Jack Sholder, e trova nella (quasi) unica location della base militare la chiave claustrofobica per raccontare una storia di reclusione vicina alle suggestioni del prison-movie. Una situazione in cui le dinamiche Bene-Male si ribaltano e pian piano la vicenda muta in un film sull’evasione, naturalissima evoluzione del su citato filone dei prison-movie.

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La bella fotografia dai toni tenui, le luci flebili che fanno un effetto vintage, è perfettamente funzionale al contesto narrativo e se non fosse per una sottile e progressiva contaminazione sentimentale che stona con gli intenti del film, staremmo qui a parlare di uno dei migliori horror fantascientifici degli ultimi anni.

Menzione particolare all’attrice Oksana Akinshina, ricchissimo curriculum ma nota a livello internazionale giusto per una parte in The Bourne Supremacy, che dà vita a una protagonista molto credibile e dal naturale arco caratteriale che passa dall’algida autorità di stampo militare a una personalità fragile, spaventata ma allo stesso tempo combattiva.

Siamo sicuri che sentiremo ancora parlare di Sputnik e del suo regista Egor Abramenko.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una storia famigliare allo spettatore raccontata con un piglio originale.
  • Il contesto storico e come è stato reso nel film, privo di qualsiasi stereotipo.
  • Il look della creatura aliena.
  • Pian piano si aggiunge una linea romantica/sentimentale che si sarebbe potuta evitare.
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