Youth – La Giovinezza, la recensione

Un lussuoso hotel sulle Alpi svizzere ospita bizzarri personaggi di ogni genere: artisti in crisi, sportivi in declino, bellezze mozzafiato. Tra questi, ci sono l’illustre compositore Fred Ballinger (Michael Caine), con figlia (Rachel Weisz) al seguito, e il regista Mick Boyle (Harvey Keitel), alle prese con la sua ultima fatica cinematografica. Ciascuno porta dentro sé e su di sé il peso dei propri errori, il rapporto conflittuale con la propria arte, l’illusione – o la disillusione – nei confronti del futuro.

Youth – La Giovinezza, il nuovo film di Paolo Sorrentino, indaga con raffinata complessità, e non senza una punta di provocazione, la stratificata natura del desiderio. Quest’ultimo è connesso con l’orrore da una dicotomia tensiva ma, come precisa il giovane divo interpretato da Paul Dano, finisce per prevalere, in quanto unica cosa che valga la pena raccontare. E il regista di La Grande Bellezza ne enuncia le declinazioni attraverso un impeccabile impianto estetico, che accarezza i corpi nudi (quello statuario di Madalina Ghenea quanto quello stanco e maturo di Michael Caine) e investe di valenza metaforica gli ambienti in cui questi sono inseriti. Tale scelta immersiva fa sentire lo spettatore ospite a sua volta di quell’asettico hotel in cui sfila tanta sfatta umanità, incompresa e incompleta, ma ancora capace di sognare.

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Tra i maggiori meriti della pellicola, non a caso, c’è la capacità di focalizzare l’analisi poetica e verosimile delle diverse tribolazioni esistenziali tanto sui protagonisti principali che sulle figure di contorno. Il risultato è una generosa messa a fuoco di emozioni vere e vissute, dipinte con sincerità e onestà e impreziosite da un simbolismo sottile ma non ermetico. L’incredibile cura per ogni dettaglio, cifra consustanziale al cinema di Sorrentino, torna con rinnovata efficacia, conferendo inaspettato spessore alla carta di una caramella, ad esempio, o a una passeggiata mano nella mano. L’onirismo, invece, presente ma non invasivo, dà vita a sequenze di grande impatto, tra cui un incredibile omaggio alle grandi figure femminili della storia del Cinema. Rispetto all’ingombrante film predecessore, dunque, siamo di fronte a un’opera non meno profonda, ma più narrativa e intima, venata di amara tenerezza.

Il cast monumentale conferisce all’insieme un’enorme marcia in più. L’alchimia dei duetti tra Caine e Keitel lascia il segno per autenticità e ironia, complice l’ottima scrittura dei dialoghi. Entrambi gli interpreti, in forma smagliante, danno vita a ritratti malinconicamente vividi e articolati di uomini che, alla soglia degli ottant’anni, si accingono ad affrontare l’inevitabile vecchiaia. Mick Boyle, tuttavia, a differenza di Fred, non ha rinunciato ad aspirare a una fantomatica completezza che ha il sapore della redenzione. Vuole sublimare il proprio percorso artistico con un ultimo grande film, che vuole a tutti i costi sia interpretato dalla sua attrice feticcio. Quest’ultima ha il volto magnetico di una straordinaria Jane Fonda, che irrompe fugacemente, ma con la forza di un vulcano.

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Meno incisivo il ruolo di Rachel Weisz che, pur avendo il giusto spazio, non riesce mai davvero a spiccare o a catturare l’interesse. La sua vicenda di figlia fragile e donna assetata di passione, infatti, è quasi trascurabile poiché manca di solido mordente e risente di una debolezza di scrittura.
L’apatico Ballinger, invece, ha scelto di vivere in nome del presente e dell’accettazione passiva dei propri sbagli e successi. Ha chiuso con l’edonismo e con la musica, e nemmeno una richiesta della Regina Elisabetta in persona può fargli cambiare idea. Tuttavia, costretto dalla figlia di fronte a un impietoso specchio, dovrà fare a sua volta i conti con gli spaventosi fantasmi del passato e col senso – o non senso – del proprio vissuto artistico e umano.

A tal proposito, ecco il quesito che il film pone con garbata insistenza e romantiche sfumature: è dunque l’arte l’unica strada per salvarsi dall’incompiutezza dell’esistenza? E se l’arte fosse vacua quanto la vita intera, futile come qualsiasi desiderio? Ciò, in tal caso, non le impedisce di regalare emozioni vibranti, come nella meravigliosa sequenza che chiude Youth. Sorrentino, in conclusione, firma un’opera che attinge a tematiche care alla sua filmografia ma le rielabora sotto una nuova luce, ora ineffabilmente lirica, ora grottesca e disturbante. Peccato per qualche didascalismo ed eccesso di retorica in alcune battute, ma il messaggio arriva forte e chiaro.
Youth – La Giovinezza è in sala dal 20 maggio, con Medusa Film.

Chiara Carnà

Pro Contro
  • L’analisi – condotta con grande onestà, sensibilità e ironia – della natura del desiderio umano.
  • Le ottime interpretazioni del cast, Fonda e Caine su tutti.
  • La capacità di raccontare in modo originale e innovativo tematiche familiari a noi tutti.
  • Ineccepibile dal punto di vista tecnico.
  • Qualche didascalismo di troppo, soprattutto in alcuni scambi dialogici.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Youth - La Giovinezza, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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