Allacciate le cinture, la recensione
Allacciate le cinture, si vive.
Arriva puntuale il nuovo film di Ferzan Ozpetek, il talentuoso regista turco che da piccolo sognava Cinecittà e Fellini; che sa muovere macchina da presa, attori e sentimenti come pochi altri in Italia; che sa indagare passioni stravolgenti con storie minimali dalle musiche travolgenti e dai colori strazianti; che sa amare indifferentemente dramma e commedia, come donne e uomini.
Torna Ozpetek, e torna in gran stile dopo il passo falso di Mine Vaganti, affresco comico di un universo gay stereotipato e scoppiato. Torna Ozpetek e questo significa un intreccio di vita e di morte in cui si ride e si piange, si odia e si ama. Si vive e si muore, o almeno ci si prova…
Allacciate le cinture è la storia di un gruppo di amici in cui amori e passioni si intrecciano a sogni e speranze, a malattie e agonia; il tutto all’interno di un tempo ciclico che ci ricorda continuamente come, quanto e perché cambiamo. Sempre sé cambiamo…
Centro della vicenda è la storia d’amore tra Elena, interpretata dalla brava Kasia Smutniak, e Antonio, interpretato dall’ex tronista Francesco Arca. Lei brava ragazza diligente e lavoratrice, lui meccanico burbero dal fisico palestrato, vagamente xenofobo e poco acculturato. I due sono i classici opposti che si attraggono, forse senza un preciso motivo, ma spinti solo da una passione irrefrenabile che col tempo si trasforma in amore e solidità (che ci sia un che di biografico per la Smutniak?). Attorno a questa vicenda ruotano quelle dei comprimari, tra cui possiamo citare il bravissimo Filippo Scicchitano, Carolina Crescentini, Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Paola Minaccioni e Luisa Ranieri.
Ed è proprio in questa struttura esile che si insinua il tocco di Ozpetek, capace di rendere credibile la recitazione di un ex tronista, o di dipingere con pochi tratti storie e sentimenti invisibili ai più. Ma non si accontenta di narrare l’amore, anzi sembra che quasi non gli interessi mostrare le dinamiche di coppia tra la bella e il burbero. Il regista turco sembra voler portare all’estremo il sentimento dell’amore, tenderlo come una corda di violino, per sondarne i lati più segreti e crudi, tanto da introdurre la tematica della malattia e del calvario.
A questo livello il film forse si incrina o forse arriva a compimento, ma di certo turba. Turba perché la malattia per Ozpetek è una matassa imprescindibile di dramma e commedia umana, di dolore e riso amaro che stempera e sdrammatizza, lì dove la sofferenza (non solo del personaggio, ma anche e soprattutto dello spettatore) raggiunge picchi estremi. Turba perché arriva di sorpresa e ci attanaglia lo stomaco, perché probabilmente non ce n’era bisogno, perché ci sentiamo un po’ traditi, perché è facile creare un sentimento empatico e drammatico utilizzando la malattia. Da una parte c’è il coraggio di osare e di toccare corde e paure tanto universali quanto profonde; dall’altro c’è una mancanza reale di necessità, tanto da far sembrare questa scelta pretestuosa, se non crudele.
Allacciate le cinture, nel bene o nel male, è un film che resta, che sorprende per la sua capacità di strappare una risata, per la sua mistura agrodolce così sapientemente congegnata, che emoziona e che lascia interdetti, se non infastiditi. E’ un film che gronda di morte, come gronda di vita.
Eppure in quest’incertezza asincrona che è il nostro destino, Ozpetek fa esplodere la voce graffiante di Rino Gaetano che fa vibrare il finale con una sua versione da pelle d’oca di A mano a mano di Riccardo Cocciante.
La mestizia di Cocciante, la leggerezza di Gaetano, la poesia di Ozpetek.
Un tuffo al cuore.
Lorenzo Giovenga
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