Il Sud è niente, la recensione
La diciassettenne Grazia vive una situazione abbastanza precaria, il negozio di stoccafissi di suo padre è prossimo alla chiusura, lei rischia di essere bocciata agli esami di maturità e il suo aspetto fisico molto mascolino la rende facile bersaglio della cattiveria dei suoi coetanei. Inoltre Grazia non ha un buon rapporto con suo padre, inclinatosi dal momento in cui suo fratello Pietro è scomparso nel nulla ed è stato dato per morto. Un giorno Grazia vede in spiaggia un ragazzo che lei è sicura essere suo fratello e ogni sua certezza sulla sorte di Pietro a questo punto entra in discussione.
Direttamente dall’edizione 2013 del Festival Internazionale del Film di Roma, dove era stato selezionato nella sezione Alice nella Città, Il sud è niente arriva nelle sale italiane distribuito da Istituto Luce Cinecittà. Il film, che segna l’esordio nel lungometraggio del giovane Fabio Mollo dopo il successo di alcuni suoi cortometraggi, sta ricevendo una discreta visibilità anche a livello internazionale (è stato di recente selezionato al Toronto International Film Festival)… Comprensibile, visto lo strano fascino che il suo film riesce ad avere a un primo impatto, che in parte lo collega alla tradizione neorealista italiana e in parte segue una strada personale e originale. Il sud è niente, però, non riesce ad andare fino in fondo e quelle enormi potenzialità espresse dall’accattivante soggetto e dall’impatto con la prima mezz’ora si mostrano come lo strato superficiale di un’opera che in fondo non ha molto da dire.
Il sud è niente è come uno Strudel senza ripieno, appetitoso all’esterno ma deludente quando si intinge il cucchiaio.
Mollo ci immerge subito nell’atmosfera rarefatta, disagevole e quasi inquietante, che aleggia su tutto il film presentandoci Grazia, questa ragazza che di aggraziato ha ben poco, mascolina e incazzata con il mondo. A darle volto e corpo è l’esordiente italo-svedese Miriam Karlkvist, che perlopiù convince perché credibile nel ruolo, anche se non si può fare a meno di notare la sua carenza espressiva che può essere affettuosamente descritta con un’affermazione che una volta attribuirono al mitico Clint Eastwood dei tempi del western: ha solo due espressioni, col cappello e senza cappello. Tutto ruota attorno a lei, dai difficili rapporti con coetanei e adulti, a cui solo l’affettuosa nonna interpretata da Alessandra Costanzo sembra scampare, alla sua disperata ricerca della verità riguardo il fratello scomparso, forse morto. I 90 minuti di durata del film si limitano a questo senza dare realmente risposte e senza andare oltre una caratterizzazione basica dei personaggi. Anzi a volte si gioca perfino alla sottrazione, come accade con Bianca, la negoziante interpretata dalla bellissima Valentina Lodovini, un personaggio che sembra inserito all’ultimo solo per fornire una dimensione sentimentale al padre di Grazia, interpretato dal sempre bravo Vinicio Marchioni.
E dunque Il sud è niente gira un po’ a vuoto per una buona parte della sua durata, concentrandosi su particolari francamente evitabili, come la componente mistica che non è particolarmente ben gestita, e tralasciandone altri che avrebbero potuto dare al film quel motore in più che palesemente gli manca, come l’approfondimento del mistero che gravita attorno alla scomparsa di Pietro.
Va riconosciuto al regista un ottimo uso delle locations, che portano lo spettatore ad esplorare questo Sud atipico, fatto di solitudini e paesaggi proto-industriali in cui, una volta tanto, non è la dimensione folkloristica e calorosa dei piccoli centri costieri ad emergere, ma l’abbandono e la voglia di fuggire verso nuovi orizzonti, che siano le profondità marine o l’agognato Nord, verso cui vuole dirigersi il padre di Grazia e dove forse è fuggito suo fratello Pietro.
Il sud è niente è dunque un’opera un po’ acerba, realizzata con grande cura formale e usufruendo di buoni attori e suggestivi scenari, ma risente di una scrittura a tratti farraginosa e di una goffa gestione dei temi e delle tempistiche narrative con il risultato che a fine visione si ha l’amaro in bocca.
Roberto Giacomelli
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