La notte del giudizio per sempre, la recensione

la notte del giudizio per sempre

Era il 2013 quando un piccolo film prodotto seguendo i vincenti dettami del micro-budget sdoganati da Blumhouse faceva capolino nelle sale di mezzo mondo, The Purge, da noi ribattezzato efficacemente La notte del giudizio. Scritto e diretto dal newyorkese James De Monaco, conosciuto fino a quel momento come capace sceneggiatore del thriller con Samuel L. Jackson e Kevin Spacey Il negoziatore e Assault on Precint 13 con Ethan Hawke e Laurence Fishburne, La notte del giudizio ha decisamente svoltato la carriera dell’autore che da quel momento, firmando un vero sodalizio con Jason Blum e la Platinum Dunes di Michael Bay, ha dato vita a una delle saghe thriller/horror più remunerative e intelligenti dell’ultimo decennio. Il piccolo film del 2013 (solo 3 milioni di dollari di budget) ha generato in breve tempo due sequel, un prequel e una serie televisiva conclusasi nell’arco di due stagioni. Sembrava quasi un discorso chiuso ormai (il finale di Election Year, il terzo film, così dava a intendere), ma lo Sfogo annuale è tornato più violento ed energico che mai in un quinto film, La notte del giudizio per sempre, che è un sequel di Election Year e, a sorpresa, si dimostra uno dei capitoli più riusciti della saga.

Nonostante gli sforzi della senatrice Roan per abolire lo Sfogo annuale, i crescenti disordini causati da un clima di razzismo latente infervorato dalla nuova classe politica hanno spinto i Nuovi Padri Fondatori d’America, che sono tornati al potere, a istituire nuovamente la notte dello sfogo.

La notte del giudizio per sempre

A poche ore dall’inizio della mattanza, in Texas la famiglia Tucker si prepara al coprifuoco. I Tucker sono dei facoltosi proprietari di un ranch e hanno come manovalanza il mite messicano Juan, anche se il primogenito dei Tucker, Dylan, si mostra molto diffidente verso gli “immigrati”. La notte dello Sfogo si svolge come da prassi e mentre i Tucker sono serrati nel loro ranch, Juan e la sua compagna Adela vengono portati in una zona militarizzata per essere protetti dalle probabili aggressioni, che si sono intensificate ai danni dei non-americani.

Lo Sfogo termina, ma una sorpresa è in serbo per tutti: un folto gruppo organizzato di “purgers” ha intenzione di proseguire l’opera di epurazione e in nome dello “Sfogo Eterno” l’intero Texas si trova in preda al caos, in pieno giorno! L’unica speranza per Juan, Adela e i Tucker, che uniscono le forze contro i purgers che hanno assaltato il ranch, è oltrepassare il confine che collega El Paso con il Messico, visto che il presidente messicano ha aperto le frontiere per concedere asilo agli americani in fuga dallo status di Sfogo Eterno.

La prima notte del giudizio

Il valore sociopolitico della saga de La notte del giudizio è chiaro fin dal primo film, che attaccava duramente la mania yankee per le armi da fuoco e l’ipocrisia della classe dirigente politica, nonché il suprematismo bianco razzista celato nel perbenismo della high class americana. Tutti i film hanno percorso questa linea di cinica satira sociale dal sapore distopico, seguendo l’una o l’altra fazione etnica o sociale, fino ad arrivare a La notte del giudizio per sempre che si fa forte di un concept nel concept, strutturato, coerente e molto lucido.

Con La prima notte del giudizio, che tornava indietro nel tempo, la questione razziale era diventata primaria e il film era inquadrato dal punto di vista degli afroamericani; in questo quinto film, invece, sono i messicani a offrire allo spettatore uno sguardo sull’America allo sbando. Il film inizia proprio con l’impresa di una coppia di clandestini messicani, Juan (interpretato da Tenoch Huerta di Narcos: Mexico) e Adela (Ana de la Reguera di Army of the Dead), di oltrepassare il confine e cercare di rifarsi una vita negli Stati Uniti. Il loro “Sogno Americano”, ovviamente, sarà ridimensionato in confronto alle aspettative ma comunque – tra alti e bassi – viene raggiunto: da una parte lui lavora come ranchero per una famiglia moderatamente razzista, dall’altra lei è operaia in una macelleria.

La prima notte del giudizio

Solo che quel “sogno” è destinato a disintegrarsi e a ribaltarsi in un modo così subdolo e paradossale da trasformare lo stesso Messico da cui i protagonisti fuggivano nella “Nuova America”. I riferimenti all’amministrazione Trump e al clima che si era creato tra i suoi sostenitori e i detrattori è palese, vedere i purgers che assaltano edifici e scorrazzano per le strade a cavallo, in moto o nei camion blindati avvolti da pittoreschi travestimenti ricorda l’assalto al Congresso dello scorso gennaio. Tutto il discorso sul suprematismo bianco, sul razzismo latente degli americani, sul voler rivendicare la posizione di dominio sul territorio viene portata a conseguenze estreme fino alla deflagrazione di una nuova Guerra Civile.

Stavolta non si tratta di un home invasion come lo era il primo film, si segue piuttosto una struttura on the road che passa dalla guerriglia urbana già vista in Anarchia ed Election Year, a una sorta di action/western ultra-violento. L’acutissima sceneggiatura di James De Monaco, che come solito sacrifica la caratterizzazione dei personaggi per dare rilievo al contesto, si unisce a una regia di grande valore che vede il messicano Everardo Gout, al suo secondo lungometraggio dopo il crime Días de gracia, impegnato in elaborate scene d’azione che culminano in un piano sequenza che segue la fuga dei protagonisti in una città messa a ferro e fuoco.

La notte del giudizio per sempre

La dose di violenza è moderatamente alta, tra le più gore dell’intero franchise, e il ritmo è davvero molto alto grazie soprattutto al continuo cambio di scenario dato dalla struttura on the road, fino all’ultimo atto che vede coinvolti perfino i nativi americani (e qui il discorso sociopolitico si eleva ancora di più) e culmina in uno scontro decisivo costruito come nella miglior tradizione del cinema western.

Arrivati a questo punto, è difficile immaginare un proseguo per la saga che possa tenere fedeltà al concept, ma La notte del giudizio per sempre ha il grande merito di smuovere alle fondamenta un franchise che tra la serie tv e il prequel del 2018 stava cominciando a mostrare scoperta la guardia adagiandosi su una struttura troppo ripetitiva. In questo quinto film, invece, ci sono idee e voglia di osare facendone uno dei vertici della saga.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Pur rimenando fedele al concept originario, questo quinto film porta la storia verso uno sviluppo vero, drastico e inedito.
  • Sottilmente e intelligentemente politico.
  • Dosi di violenza abbastanza alte.
  • Come sempre accade in questa saga, i personaggi sono caratterizzati il minimo.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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