La settima musa, la recensione

«Cantami, o Diva, del pelide Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei…»

Così recita Omero nel Proemio dell’Iliade, appellandosi a Calliope, la suddetta “Diva”, Musa della poesia, che poi fu denominata proprio Musa di Omero, visto che il celebre poeta greco a lei si rivolse anche nel Proemio dell’OdisseaNarrami, o Musa, dell’eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la Rocca sacra di Troia…»). Calliope e le sue sorelle Muse divennero così celebri e celebrate, tanto nella religione quanto nella letteratura, dal momento che – figlie di Zeus e di Mnemosyne – rappresentavano l’idea più nobile e divina di Arte, intesa come Verità. Non è un caso, dunque, che alle Muse abbiano fatto riferimento altri grandi poeti della Storia dell’umanità, da Dante Alighieri («O muse, o alto ingegno, or m’aiutate…» Inferno, canto II, versi 7-9) a William Shakespeare («O for a Muse of fire, that would ascend The brightest heaven of invention…» Prologo di Enrico V, Atto I), dimostrando un legame indelebile tra letteratura e religione, arte e mitologia, terreno e soprannaturale. Ed è proprio partendo da questa interessantissima dicotomia che si sviluppa La settima musa (Musa, in originale), il nuovo thriller soprannaturale di Jaume Balaguerò, maestro del brivido nel cinema spagnolo contemporaneo.

Ispirandosi al romanzo di José Carlos Somoza La dama numero tredici, Balaguerò porta in scena una vicenda mistery che fa sue le suggestioni mitologiche delle muse greche contestualizzandole però nel presente. A dire il vero, in La settima musa non c’è traccia di Clio, Euterpe, Melpomene e le loro sorelle, che lasciano il posto a una “rivisitazione” del mito greco in cui il contributo ispiratore delle dée è tanto fondamentale quanto il loro influsso malefico.

Samuel Solomon (Elliot Cowan) insegna letteratura in un’università di Dublino, dove porta avanti una relazione clandestina con una sua studentessa. In seguito al misterioso (e immotivato) suicidio della ragazza, Samuel cade in una profonda depressione e, un anno dopo, è ancora tormentato da terribili e cruenti incubi, finché una mattina scopre che in città si è consumato un omicidio identico a quello che ha sognato quella notte. Mosso dalla curiosità, l’uomo si reca sul luogo del delitto e qui sorprende Rachel (Ana Ularu), una ragazza moldava che lavora in città come spogliarellista, scoprendo che anche lei ha avuto lo stesso sogno premonitore. I due cominciano ad indagare decifrando indizi nascosti nella loro memoria, fino a giungere a un’inquietante soluzione.

Incipit pregno di mistero, suggestione e tragedia che però non si sviluppa nel migliore dei modi perché se La settima musa ha un macroscopico difetto, questo risiede nella sceneggiatura. Scritto a quattro mani, dal regista stesso insieme a Fernando Navarro (autore, tra gli altri, dell’ottimo Verònica di Paco Plaza), il film mostra una matrice letteraria invadente che non trova nell’adattamento filmico uno sviluppo adeguato, in particolare a un film di genere thriller/horror. Questo si traduce a una scrittura incerta di personaggi ed eventi, che non riescono mai veramente a coinvolgere lo spettatore: tutto rimane sempre troppo superficiale e si percepisce un’eccessiva velocità di narrazione. Inevitabili i buchi narrativi, che rendono anche un po’ faticosa la completa comprensione dell’articolato intreccio.

Dopo il suggestivo prologo, La settima musa si trasforma in un giallo, una lunga indagine dalle tinte soprannaturali che vede coinvolti nel ruolo di investigatori due individui che non hanno le capacità investigative necessarie. Bene, direte voi… e invece proprio qui fallisce l’obiettivo di Balaguerò! I due protagonisti non sbagliano un colpo, procedono spediti nell’indagine un po’ come succedeva in National Treasure con Nicolas Cage (ma quello è un altro tipo di film), risultando poco credibili e innalzando così un muro con lo spettatore che non riesce, per forza di cose, a star dietro ai loro passi da novelli Sherlock Holmes. Inoltre, la stessa indagine sembra avere delle falle narrative, è tutto troppo veloce, mancano elementi che possano accompagnare progressivamente lo spettatore nella risoluzione del mistero. Poi un altro passo falso del film è la figura della Musa, un’entità per forza di cose astratta ma con una mitologia ben precisa, che qui viene banalizzata e spiegata senza troppa attenzione nel costruire una suggestione attorno a questa creatura. Arrivati a fine corsa, sappiamo pochissimo delle Muse, quale è il loro modus operandi e perché fanno quello che fanno, lasciando quel fastidioso amaro in bocca da occasione sprecata.

Nonostante il passato di Balaguerò con pellicole che fanno realmente paura (Darkness, Nameless, in parte Fragile, ma anche i primi due [REC]), La settima musa non punta mai realmente allo spavento. Evita di creare situazioni da cinema horror, anche se qua e là c’è qualche zampata di sangue, e secondo lo stesso regista l’obiettivo era richiamare le atmosfere complottistiche dei thriller alla Dan Brown, solo che, col senno di poi, anche operazioni come Il codice Da Vinci appaiono lontanissime da La settima musa.

Insomma, dopo il brutto [REC] 4 – Apocalipsis (che rimane il punto più basso nella carriera dell’autore), un altro buco nell’acqua, nonostante la mano del regista di Bed Time si faccia apprezzare nella curatissima messa in scena, soprattutto nella gestione delle location interne, ottimamente valorizzate, decadenti e claustrofobiche al punto giusto.

Se La settima musa avesse mantenuto le ottime premesse del soggetto, staremmo qui a parlare del capolavoro di Balaguerò, invece abbiamo solo un goffo adattamento di un suggestivo romanzo.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ottima valorizzazione degli interni.
  • Prologo promettente.
  • Ritmo piatto.
  • Personaggi poco interessanti.
  • Indagine loffia e a tratti difficile da seguire.
  • Le Muse, queste sconosciute …
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