Lei, la recensione
L’amore ai tempi del web 3.0 ci è raccontato da Spike Jonze con un’originale vicenda follemente romantica. Lei rappresenta, infatti, il punto di non ritorno della love story cinematografica, una delle visioni più “estreme” dell’amore su grande schermo, un rapporto impossibile tra uomo e macchina che si fa metafora della difficoltà nell’instaurare oggigiorno una relazione di coppia.
Theodore è un poeta, o meglio, Theodore sa mettere su carta le emozioni umane meglio di chiunque altro, tanto che il suo lavoro prevede scrivere lettere (d’amore, d’amicizia, d’addio) conto terzi. Però Theodore, allo stesso tempo, non riesce a gestire al meglio le sue emozioni, a causa di una storia d’amore che è andata letteralmente a rotoli. Un giorno, nella vita dell’uomo entra Samantha, un OS, ovvero un sistema operativo di ultima generazione in grado di organizzare la vita professionale come nessun sistema operativo era mai riuscito a fare. In più Samantha è una voce amica e comprensiva, con la quale è possibile confidarsi e sfogarsi. A piano a piano, Theodore si innamora di Samantha e, seppur si tratti di un software che si materializza solamente attraverso la voce, tra i due nasce una bellissima storia d’amore.
Spike Jonze, che con Lei firma la sua prima sceneggiatura scritta in solitario (Nel paese delle creature selvagge era co-scritto da Dave Eggers) aggiudicandosi meritatamente l’Oscar, è un autore coerente e in grado di condurre un discorso che fa dell’interiorità dei suoi personaggi la cifra stilistica narrativa peculiare. Se in Essere John Malkovich Jonze entrava letteralmente nella mente dell’attore che da il titolo al film, in Il ladro di orchidee si seguiva il processo creativo di una sceneggiatura confondendola con la vita dei protagonisti e nello struggente Nel paese delle creature selvagge seguivamo l’avventura immaginifica del piccolo protagonista, in Lei tutto è fondato sulle nevrosi, le insicurezze e la disperata voglia d’affetto di Theodore.
Jonze ci conduce per mano nella delicata vicenda di un uomo solo, palesemente incapace di gestire le proprie emozioni e soprattutto di relazionarsi con altri. Se la storia d’amore con la sua ex, interpretata da un’algida Rooney Mara, è andata a rotoli forse anche per una responsabilità condivisa, è l’appuntamento al buio con l’attraente Olivia Wilde a smascherare l’immaturità e la voglia di disimpegno del protagonista. Solo la migliore amica Amy Adams – che in quanto a difficoltà relazionali è molto in sintonia con Theodore – sembra capirlo, ma è una macchina a conquistarlo, a possedere quei requisiti da “donna” ideale richiesti da Theodore. Una richiesta d’amore senza che l’amore fisico e le responsabilità che questo comporterebbe siano contemplati, la ex di Thodore rimprovera questa evidenza all’uomo facendosi portavoce dell’opinione comune che emergerebbe nel mondo reale, mentre il suo collega di lavoro Paul (Chris Pratt) lo appoggia normalizzandone il punto di vista e ricordandoci che è questo il punto di vista del regista, avulso da qualsiasi giudizio o moralismo. Eppure Samantha è chiaramente un deus ex machina, una condizione necessaria a far crescere Theodore, a renderlo consapevole del suo status alienato, una coscienza indispensabile per far superare il momento di straniamento e sfiducia che l’uomo sta attraversando.
“Il passato è solamente una storia che raccontiamo a noi stessi”, dice Samantha minimizzato il vissuto sentimentalmente traumatico del protagonista ed è questa la chiave di volta di un film che ci dice di guardare avanti nella vita, sempre e comunque, nell’amore così come nelle esperienze quotidiane.
Lei è un film intelligente, originale e armonioso. Una storia raccontata con brio e con un respiro sufficientemente ampio a comprendere le numerose sfumature di una vicenda tanto folle quanto complessa e universale. Contribuiscono alla riuscita di questa magnifica opera anche gli attori coinvolti, soprattutto Joaquin Phoenix, indubbiamente tra i migliori della sua generazione e qui in stato di grazia, spalleggiato da una sempre brava Amy Adams, da Rooney Mara e soprattutto da Scarlett Johansson, che nella versione originale da la voce a Samantha. L’interpretazione della Johansson, che all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma è valso il premio per miglior interpretazione femminile all’attrice, viene meno però nella versione italiana, dove l’OS è doppiato da Micaela Ramazzotti con bravura ma non con eguale efficacia della controparte americana.
Lei è un’opera di valore, un film destinato a prendere un posto speciale nel cuore dello spettatore che saprà apprezzarlo, un lavoro maturo e armonioso in tutte le sue parti. Assolutamente consigliato!
Roberto Giacomelli
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