Monuments Men, la recensione
Il Premio Oscar George Clooney porta sul grande schermo la sua quinta fatica da regista, Monuments Men, tratto dal best seller Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia di Robert M. Edsel, e interpretato, oltre che dallo stesso Clooney, da un cast stellare: i Premi Oscar Cate Blanchette, Jean Dujardin e Matt Damon e i mitici Bob Balaban, John Goodman e Bill Murray.
Seconda Guerra Mondiale. La Germania nazista corona la sua inarrestabile e distruttiva ascesa defraudando l’Europa delle opere d’arte più preziose che possiede. Queste ultime, apparentemente dissoltesi nel nulla, saranno destinate ad arricchire l’ambizioso progetto del Führer Museum, in costruzione nella città natale del dittatore. Frank Stokes (Clooney), baffuto storico dell’arte, è determinato non solo a a porre fine alle razzie, ma a recuperare i capolavori rubati per restituirli ai legittimi proprietari. Per farlo, riunisce un singolare manipolo di volontari – un critico d’arte, un architetto, uno scultore, un mercante, un pilota britannico e un soldato ebreo tedesco a fare da traduttore – pronti a rischiare la propria stessa vita affinché dipinti e sculture trafugati vengano rimessi al proprio posto.
Monuments Men è un commosso e appassionato apologo sull’amore per l’arte e sul significato di quest’ultima per la Storia. La compagnia di soldati improvvisati guidata da Stokes, si lancia all’avventura per preservare non solo l’opera in sé ma, in primis, ciò che rappresenta: identità culturale, istinto societario, verità storica. E’ per questo che non furono militari di professione a intraprendere l’impresa, ma uomini profondamente innamorati dell’arte, che a questa decisero di consacrare la propria esistenza, professionale e non. Emblematiche di questi nodi tematici sono sequenze quali quella in cui James Rorimer (Matt Damon) riappende una tela rubata in una dimora ebrea deserta e spogliata dalla guerra o, ancora, quella in cui uno spaesato e afflitto Preston Savitz (Bob Balaban) si avvicina ai colleghi stringendo tra le mani una cornice vuota la cui targa ha inciso il nome Picasso. Clooney riesce dunque a raccontare con malinconica sobrietà, misurata ironia e sagace precisione uno spaccato di storia insolito ma meritevole di esser raccontato, regalando al pubblico un affresco toccante di energico eroismo mosso da nobili ideali.
Dal punto di vista tecnico, la regia di George Clooney si riconferma classica, senza guizzi di originalità o incisiva personalità, ma assolutamente funzionale al dipanarsi della storia. Idem per il commento musicale, cucito su misura sulle immagini ora per enfatizzarne il pathos, ora per sottolinearne la leggerezza. La fotografia, piacevolmente luminosa, vede prevedibilmente dominare i toni del verde e contribuisce a dar vita a un impianto visivo suggestivo e verosimile, senza orpelli o impulsi superflui. Lo script, purtroppo, non è esente da vistose pecche. La pellicola scorre, per la verità, piuttosto a rilento nella prima metà, in cui fatica a coinvolgere e ad appassionare per via di scene talvolta prolisse e, soprattutto, dal momento che le vicende dei protagonisti sono separate e articolate in una serie di episodi autoconclusivi. Lo spettatore potrebbe ritrovarsi ad arrancare per non perdere le fila del discorso o ad annoiarsi per via del ritmo narrativo tutt’altro che dinamico. Tuttavia, nella seconda parte, nella quale il gruppo è prevalentemente coeso, la storia ingrana, si entra nel vivo, e finalmente si ha modo sia di empatizzare tanto con i personaggi che con la materia trattata, che di cogliere i significativi spunti di riflessione. Tra questi, il principale è senza dubbio una scottante e complessa questione il cui scioglimento il regista demanda allo spettatore: vale davvero la pena morire per un’opera d’arte? Alla luce dell’epopea di questi valorosi estimatori di capolavori, delle loro imponenti conquiste e delle cocenti sconfitte, delle perdite e delle vittorie, potremmo dichiarare fermamente che un’opera d’arte valga il sacrificio di una vita umana?
Il cast fenomenale, si cimenta in performance convincenti seppur non memorabili. Cate Blanchette è intensa e seducente nei panni di una tenace segretaria parigina, a sua volta animata da fervide velleità patriottiche, che si ritroverà a duettare con un Matt Damon in ottima forma. Impossibile, inoltre, non lasciarsi immediatamente conquistare dai personaggi interpretati dagli ineccepibili John Goodman e Bob Balaban. L’affiatamento tra gli interpreti è comunque palpabile e funziona alla grande – per questo lascia perplessi la scelta di lasciarli interagire soltanto a partire da metà film – sostenendo più che bene la climax che conduce prima al coronamento dell’obiettivo collettivo (sul quale non anticipiamo nulla) e, infine, a un epilogo di cui la prevedibilità e l’innegabile dose di retorica non intaccano l’emozionante impatto. Perché, evidentemente, Clooney, nonostante i difetti e le imprecisioni formali del film, è riuscito catturare e stimolare la sensibilità del pubblico, aiutandolo a capire cosa ha provato chi si cimentò in quell’avventura suicida non poi tanti anni or sono. Quel che è certo, è che, dopo aver appreso questa incredibile vicenda storica e umana, non guarderemo più all’arte con gli stessi occhi.
Monuments Men, nelle nostre sale dal 13 febbraio, è distribuito dalla 20th Century Fox.
Chiara Carnà
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