Nessuno ne uscirà vivo, la recensione

Muoversi all’interno del mare magnum del catalogo Netflix è diventata un’impresa ormai ardua e con sempre meno certezze per gli appassionati di horror, alla costante e famelica ricerca di prodotti di qualità per passare una serata piacevole sulla piattaforma di streaming più famosa al mondo. Tra film per ragazzi e neofiti del genere, opere di qualità infima e molti altri dalla non facile classificazione, la mediocrità media è una spiacevole costante, interrotta soltanto da alcuni bagliori di qualità inaspettati: basti pensare a titoli come l’italiano Il legame di Domenico Emanuele De Feudis, il recente Blood Red Sky di Peter Thorwarth, o, ancora, la ghost strory a tema sociale His House di Remi Weekes. Tutti lavori che hanno in comune la volontà dei registi di slegarsi dagli stereotipi e proporre qualcosa di personale e originale, dal punto di vista dei contenuti o più semplicemente da quello visivo e di capacità di intrattenere.

Caratteristiche che ritroviamo, non senza passaggi a vuoto, in Nessuno ne uscirà vivo, opera prima di Santiago Menghini che si cimenta con l’horror firmando una ghost story che fonde elementi del folklore sudamericano con tematiche sociali, quali l’immigrazione e la condizione dei messicani trasferitisi negli Stati Uniti. Buon potenziale sfruttato solo in parte dal momento che il regista canadese, memore della sua attività di creatore di effetti visivi, si rivela molto a suo agio con scene sanguinolente e creature mostruose ma, al contrario, palesa evidenti limiti come narratore dal momento che lo sviluppo dell’intreccio risulta poco scorrevole e senza mordente.

Ciò che ne viene fuori è un horror gradevole e impreziosito da alcune trovate registiche interessanti, ma deludente per chi si aspettava una storia intensa sotto il profilo emotivo ed empatico.

Ambar è una ragazza messicana che ha deciso di andare negli Stati Uniti per rifarsi una nuova vita dopo la morte della mamma. Tra un datore di lavoro spietato e senza scrupoli, parenti conosciuti solo dopo tanti anni e una stanza in affitto all’interno di una pensione inquietante e piena di misteri, però, la giovane non trova la serenità sperata, anzi. La situazione, infatti, degenera nel momento in cui voci misteriose e fantasmi iniziano a manifestarsi ad Ambar la quale, dopo aver provato a fuggire, si trova a fronteggiare forze soprannaturali che toccano anche il suo passato e l’inconscio più profondo.

Partendo dall’omonimo romanzo di Adam Nevill, Menghini ha il merito di mostrare coraggio e intraprendenza per realizzare un film, almeno nelle idee iniziali, dalla struttura narrativa variopinta e complessa e contraddistinto da due parti ben distinte fra loro, ma al tempo stesso funzionali e propedeutiche l’una per l’altra.

Nella prima metà di Nessuno ne uscirà vivo, infatti, il regista si focalizza principalmente sul lato sociale e psicologico della storia della giovane Ambar, con una lunga e dettagliata descrizione della sua condizione da straniera in un paese freddo e poco accogliente e del suo passato funesto che torna a bussare alla porta del suo inconscio. Ciò viene reso, però, attraverso un plot caratterizzato da lunghi tempi morti, scene e dialoghi che sembrano girare intorno a concetti ripetuti più volte e scelte stilistiche che rafforzano la sensazione che Menghini sia in realtà poco interessato a questo tipo di sviluppo narrativo e utilizzi tale tematica solo come pretesto per allungare il brodo e porre le basi per la seconda metà e il gran finale.

È proprio qui, infatti, che il regista canadese scioglie le catene ed offre il meglio di sé e sfoggia conoscenza del genere, ponendo maggiormente l’accento sul lato horror della storia grazie a immagini crude e sanguinolente e mostri realizzati con cura e ottimo gusto estetico. Lo schermo inizia così a pullulare di sequenze dalla forte carica di tensione e di suspense, con i fantasmi che da semplici elementi sullo sfondo diventano man mano parte attiva dell’azione, e un finale la cui forza dirompente trova sponda in una creatura originale nel suo aspetto e pronta a generare fiumi di sangue e terribili sofferenze.

Insomma, volendo tirare le somme, si può dire che Nessuno ne uscirà vivo è un horror puro che per metà film cerca di travestirsi in maniera goffa da horror sociale a sfondo politico. Ma alla lunga, si sa, tutti i nodi vengono al pettine e la vera indole di un regista viene sempre fuori.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Menghini di dimostra coraggioso e ambizioso nel volere proporre un film personale e non banale.
  • Ottimi i trucchi e gli effetti visivi.
  • Buona gestione della tensione nelle scene clou.
  • La prima parte è troppo articolata, ripetitiva e dai ritmi un po’ troppo compassati.
  • L’analisi sociale e le riflessioni sulla condizione degli immigrati messicani è soltanto un preteso per tentare di conferire spessore e profondità al film.
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