Pompei, la recensione
Paul W.S. Anderson è un regista capace di mettere in difficoltà anche il critico cinematografico più votato all’intrattenimento di maniera. Gran guru dell’azione esasperata ed esagitata, sciamano del videogame su grande schermo, dal momento che ha iniziato la carriera con il film di Mortal Kombat e ha proseguito con Resident Evil e Alien vs. Predator, tra i primi ad essersi convertito convintamente al 3D, Anderson passa con estrema nonchalance da autentici gioielli come Punto di non ritorno e Death Race a imbarazzanti spottoni di nulla come i sequel di Resident Evil, fino a toccare vette di disorientamento filmico con la sua versione steampunk di I tre Moschettieri. Insomma, Anderson è uno di quegli autori per cui ogni nuovo film è un terno a lotto e non sai che aspettarti. O meglio, qualche idea su cosa aspettarsi c’è sempre, perché se vige una legge nel cinema andersoniano è “intrattenimento nudo e crudo… possibilmente molto spettacolare”. E Pompei non sfugge alla regola, con l’eccezione, però, che qui Anderson ha tirato fuori dal cilindro un film riuscito, facendosi perdonare gli inutili ultimi due Resident Evil e il D’Artagnan con Logan Lerman.
L’idea che deve essere balzata in mente ad Anderson e ai suoi sceneggiatori Michael Robert Johnson, Janet e Lee Batchler è quella di unire il peplum di stampo gladiatorio con il film catastrofico, un mix che, a onor del vero, è decisamente originale. Si parte, dunque, da un cattivo, l’odioso generale romano Corvo, che ha il volto di Kiefer Sutherland, per fornire il protagonista della vicenda di un trauma, quindi una motivazione di vendetta. È il 79 d.C. e le truppe romane in Britannia uccidono, stuprano e distruggono ogni cosa, ponendo fine a intere popolazioni, in particolare il generale Corvo si fa carnefice dei genitori del piccolo Milo e il suo volto rimane ben impresso nella mente del bambino, che riesce a salvarsi solo perché si finge morto in mezzo a una montagna di cadaveri. Passano diciassette anni, Milo (Kit Harington) è uno schiavo ed è diventato uno dei più talentuosi gladiatori dell’Impero. Quando viene portato a Pompei per esibirsi durante le celebrazioni delle annuali vinalia, Milo fa la conoscenza di Cassia (Emily Browning), la figlia del signore della città (Jared Harris), promessa sposa proprio a Corvo. Mentre i giochi gladiatori sono nel vivo, la terra comincia a tremare e il Vesuvio, il minaccioso vulcano che campeggia sulla città, si scatena.
Pompei ha ritmo, cuore e un ottimo utilizzo degli effetti visivi, il che ne fa un film d’intrattenimento efficace. Le due anime del film, ovvero il peplum e il catastrofico, convivono con estrema armonia e si dividono la scena in modo equo: una buona metà è dedicata agli affari da “sandalone”, con combattimenti nell’arena, giochi di potere e battibecchi da camerata dell’antica Roma; la restante parte è dedicata alla furia del vulcano, con esplosioni, pioggia di lapilli e detriti, voragini nel terreno e una spettacolare onda anomala che sommerge la città. Le scene d’azione sono coreografate benissimo (da antologia il combattimento “centrale” dei vinalia) e il sense of wonder è costantemente alto, con il picco nel climax dell’eruzione vulcanica.
L’elemento che ne esce sconfitto è la storia d’amore tra Milo e Cassia… eh si, perché c’è una storia d’amore ed è anche importante per la vicenda! Probabilmente è per il poco tempo a disposizione (il film dura 95 minuti circa, ma avrebbe dovuto durare di più), fatto sta che Anderson decide di sacrificare proprio l’aspetto romantico e così il processo di innamoramento tra i due protagonisti è mostrato con l’acceleratore, con il risultato che appare poco approfondito e di conseguenza non troppo credibile.
Il cast fa del suo meglio e se Sutherland è un cattivo basic, appaiono efficaci nei ruoli positivi il Jon Snow di Il trono di spade Kit Harigton e la bellissima Emily Browning, affiancati da Jared Harris, Carrie-Ann Moss e Adewale Akinnuoye-Agbaje, che molti ricorderanno come Mr. Eko in Lost.
Bisogna ammettere che malgrado ci fossero tre sceneggiatori, Pompei ha alcuni dialoghi improbabili e il 3D quasi lo si dimentica per l’uso “invisibile” che se ne fa, però è un film che cattura, riesce ad appassionare e se valutato per quello che vuole essere, ovvero un onesto film d’intrattenimento, risulta riuscito su tutta la linea.
Roberto Giacomelli
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