Scream 4, la recensione
Sidney Prescott fa ritorno a Woodsboro, la sua città natale, dopo quindici anni dalla strage che l’ha vista coinvolta. La donna si trova in città per promuovere il suo libro “Fuori dall’oscurità”, ma la sua comparsa coincide immancabilmente con un nuovo duplice omicidio. A morire sotto i colpi di un assassino mascherato da Ghostface sono Jenny Randall e Marnie Cooper, due liceali trucidate dentro casa di una di loro. Linus, che nel frattempo è diventato sceriffo di Woodsboro e ha sposato Gale Weathers, indaga sull’omicidio e le tracce portano proprio a Sidney. Quest’ultima è ospite di sua zia Kate e di sua nipote Jill, che in men che non si dica si trovano al centro di un incubo. Un’altra adolescente muore sotto gli occhi di Jill e con l’avvicinarsi dell’anniversario dei delitti di Woodsboro la situazione si fa sempre più pericolosa.
“Per fare un buon remake non devi cambiare l’originale!”, con queste parole, pronunciate da uno dei personaggi di Scream 4, Wes Craven si prendeva una rivincita verso coloro che gli avevano stravolto alcuni suoi caposaldi con sequel e reboot non sempre infallibili e contro chi, qualche tempo prima della realizzazione di questo quarto film, ipotizzava un reboot totale per il rilancio del franchise di Scream. Ma niente reboot ne remake, grazie al cielo, e Scream nel 2011 ha festeggiato in suoi 15 anni con un sequel in piena regola…e che sequel, ragazzi! Un ritorno così lucido, intelligente e divertente che a tratti non si riesce a credere che ci stiamo confrontando con un numero 4, per di più tardivo come pochi.
Con Scream Wes Craven aveva resuscitato l’horror da una pericolosa situazione di torpore stagnante che negli anni ’90 lo stava attanagliando: reinventa lo slasher rilanciandolo come fosse un filone tutto nuovo e la lezione ha fatto scuola. L’horror era salvo, Craven aveva dato alla Storia un capolavoro! Con Scream 2 il regista di Nightmare – Dal profondo della notte aveva continuato il gioco iniziato nel capitolo precedente, snocciolando le regole che siedono dietro la serializzazione. Il terzo capitolo virava più sulla commedia diminuendo la violenza, ma presentava una profonda riflessione sulla decadenza di Hollywood e sulla confusione che può venirsi a creare tra realtà e finzione, teorizzando ancora una volta come il cinema possa imitare la vita che imita il cinema. La trilogia era conclusa, un’ottima trilogia che presenta molti punti di originalità e spunti di riflessione sul cinema alla soglia del XXI secolo, oltre che mostrare una coerenza interna non sempre attribuibile alle saghe horror.
Con Scream 4 l’impresa era davvero ardua: fare un sequel che a distanza di dieci anni dall’ultimo film ne seguisse le regole e ne ricreasse le atmosfere, ma allo stesso tempo Scream 4 sarebbe dovuto essere un film capace di catturare l’attenzione dei più giovani, di coloro che magari Ghostface l’hanno incontrato per caso solo su google immagini. Scontentare un po’ tutti era facile, molto facile, eppure la premiata ditta Craven (regia) e Williamson (sceneggiatura) sono riusciti nell’intento e in un periodo di vecchiume riciclato paradossalmente danno vita a un film fresco e carico di una vis satirica riuscitissima.
Tutto comincia con una telefonata, proprio come da tradizione, una voce suadente (che in originale è di Roger Jackson, in italiano sempre di Carlo Valli) inizia il gioco in prospettiva del massacro, ma lo spettatore smaliziato sa dove tutto andrà a parare, serve un fattore sorpresa che “non faccia troppo 1996” e così Scream 4 nei lunghi momenti che precedono il titolo gioca con se stesso, dunque con la fittizia serie parallela Stab, e con lo spettatore, ridicolizzando proprio la mania dei sequel.
Il prologo è esplicativo del tono ironico e sopra le righe che ammanta l’intero prodotto: si riflette sul cinema classico come di consuetudine (chi è il primo film che fornisce il punto di vista dell’assassino? Halloween? Psycho?… non proprio!) ma si punta soprattutto all’horror post 2000, ovvero proprio quello nato da una costola di Scream. La serializzazione ha trovato il suo apice in Saw e guarda caso è Saw IV a finire nelle mire intellettualistiche di una delle prime vittime. Stab come Saw (o il contrario?), sette film, uno all’anno, e i ragazzi ne vanno matti, organizzando maratone annuali per ripassare la saga in prossimità del nuovo capitolo. Ma se da una parte c’è il torture porn dall’altro c’è il remake, pratica fagocitatrice di cui la Hollywood di genere ha fatto abuso in quegli anni. Scream 4 gioca con il concetto di remake e lo trasforma in un’arma satirica che svincola dalla mera citazione. Se in Scream 2 e soprattutto in Scream 3 già trovavamo, forse inconsapevolmente, un’anticipazione di tutto ciò nella messa in scena dei cloni in celluloide dei personaggi, in Scream 4 abbiamo una lucida teorizzazione su tutto ciò, su cosa la ripetizione del già visto possa causare alla cultura pop portando all’oblio delle origini.
Nel 2011 i giovani conoscevano Michael Myers pensando che fosse nato con il film di Rob Zombie, o legavano il personaggio di Leatherface alla versione di Non aprite quella porta prodotta da Michael Bay. L’emulo tende a sostituirsi all’originale, di clonarlo per cancellarlo definitivamente nel ricordo degli spettatori e nelle conoscenze delle nuove generazioni. Scream 4 riflette su questo dato, lo fa con la solita dissacrante ironia, puntando il dito anche verso i media e sulla loro tendenza a creare i miti. Le nuove tecnologie permettono a chiunque di diventare protagonista di un microcosmo virtuale, di farsi vedere, notare, attirare l’attenzione. I nuovi media hanno banalizzato e reso alla portata di tutti i fatidici 15 minuti warholiani grazie ai blog, a youtube, a facebook e twitter; internet è un prezioso alleato ma allo stesso tempo un genitore castrante. Il duo Craven/Williamson riesce dunque a catturare stralci di attualità culturale in modo intelligente e funzionale proprio come fece nel 1996. Scream 4 parla delle nuove generazioni attraverso gli occhi esterni di chi le ha viste forgiarsi sulle ceneri delle precedenti; questo quarto capitolo è una constatazione del nuovo in questo primo decennio del XXI secolo, con l’unico difetto forse (ma non sono sicuro che sia un difetto) di filtrare tutto da un’ottica nostalgica.
Nel cast di volti noti ai fan si contraddistinguono i protagonisti di sempre Neve Campbell, David Arquette e Courtney Cox ai quali si aggiungono Marley Shelton (Sin City, Planet Terror), che interpreta il vice sceriffo Hicks, rivale putativa di Gale Weathers, Emma Roberts (Nerve, Scream Queens, American Horror Story), che è Jill, cuginetta di Sidney, Hayden Panettiere (Heroes, Amanda Knox), tosta liceale appassionata di cinema horror, Erik Knudsen (Scott Pilgrim vs. the World, Saw II – La soluzione dell’enigma), che interpreta il novello reporter internet-integrato, Rory Culkin (Signs, Lords of Chaos), il timido fondatore del cineclub del liceo e Nico Tortorella (Trespass, The Walking Dead: World Beyond), che veste i panni dell’esuberante ex fidanzato di Jill. A loro si aggiungono in piccole parti Adam Brody e Anthony Anderson, nelle parti di due poliziotti piuttosto incapaci – in piena tradizione craveniana – e in un cammeo compaiono la Anna Paquin di True Blood e X-Men e la Kristen Bell di Veronica Mars.
Nuova decade, nuove regole, recita la tag line americana del film, ma la forza innovativa di Scream rimane immutata, rinnovandosi con intelligenza in un quarto capitolo che non potrà non piacere ai fan di Ghostface.
Roberto Giacomelli
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