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Marilyn Burns, intervista alla final girl di Non aprite quella porta

Con l’uscita, in esclusiva Netflix, del nono film della saga di Non aprite quella porta, che si pone come sequel diretto del capolavoro diretto da Tob Hooper e arrivato nei cinema nel 1974, torna anche il personaggio di Sally Hardesty, una delle primissime final girls della storia del cinema horror nonché prima superstite delle criminose gesta del gigante armato di motosega Leatherface. Nel film diretto da David Blue Garcia a interpretare una attempata ma combattiva Sally Hardesty c’è l’attrice irlandese Olwen Fouéré, ma la Sally Hardesty originale era impersonata da Marilyn Burns che purtroppo ci ha lasciati nell’agosto del 2014.

Fragile e allo stesso tempo incredibilmente combattiva, la Sally di Marilyn Burns è un po’ il prototipo delle scream queen con un carattere ancora in via di delineazione ma già in possesso di tutte le caratteristiche che avrebbero consacrato questa tipologia di stereotipo da cinema horror.

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Non aprite quella porta 3D, la recensione

Dopo essere scampata al massacro di cui sono stati colpevoli Leatherface e la sua famiglia di assassini cannibali, Sally Hardesty ha denunciato i fatti alle autorità. Lo sceriffo Hooper si è quindi diretto alla fattoria dei Sawyer per fare giustizia ma una folla inferocita di paesani ha avuto la meglio mettendo a ferro e fuoco l’abitazione, uccidendo gli abitanti e appiccando il fuoco all’edificio. Solo una neonata viene salvata e adottata da uno dei giustizieri la cui moglie non poteva avere figli. Una ventina di anni dopo, quella bambina, Heather, riceve un’eredità da una nonna che non sapeva di possedere, l’ultima sopravvissuta della famiglia Sawyer ad abitare ancora in Texas. Heather scopre così di essere stata adottata e decide di recarsi a Newt, in Texas, per riscuotere l’eredità di sua nonna Verna. Ad accompagnarla nel viaggio ci sono tre suoi amici, un viaggio che farà scoprire alla ragazza i terribili segreti della sua famiglia!

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Leatherface, la recensione

Arriva un momento in ogni grande saga horror in cui le idee finiscono. È una questione fisiologica: dopo 5, 6, 7 film, ci si comincia ad arrampicare sugli specchi. Qualcuno sceglie di far scontrare i villains rappresentativi del franchise con improbabili nemesi o tra di loro, qualcun altro si abbandona all’inevitabile remake e poi c’è chi esplora le origini con immancabili prequel. A quest’ultima soluzione ci sono passati un po’ tutti, da Freddy Krueger con sprazzi nel sesto film a Michael Myers nella versione di Halloween firmata da Rob Zombie, fino a Pinhead e i suoi cenobiti con frammenti di passato nel terzo e quarto film della saga di Hellraiser. All’appello mancano giusto due “mostri”, Jason di Venerdì 13, di cui però il passato lo conosciamo bene fin dal primo film attraverso flashback e racconti, e Leatherface di Non aprite quella porta, la cui storia è sempre stata un po’ fumosa a causa di un caotico andirivieni all’interno della saga, dove tra reboot, remake e sequel “traditori” si è riscritta di continuo la mitologia e l’albero genealogico.

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