Maestro: sinfonia di un matrimonio

Maestro, seconda prova da regista di Bradley Cooper dopo il successo di A Star is Born (2018), è stato presentato in concorso all’80ª Mostra del Cinema di Venezia e sarà disponibile su Netflix a partire dal 20 dicembre.

Per il suo ritorno alla macchina da presa, Cooper sceglie la strada del biopic: al centro c’è sempre la musica ma questa volta la storia portata in scena è quella del poliedrico compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein. L’arco temporale raccontato dal regista, che si propone sullo schermo anche nei panni di Bernstein, copre esclusivamente gli anni della lunga relazione con Felicia Montealegre (Carey Mulligan), moglie del compositore.

La qualità più immediata e riconoscibile del film sono i cambi di registro ed emozione, che sembrano voler dare una forma visiva a una sinfonia: Maestro si presenta con una divisione netta e definita in due atti. Il primo, in bianco e nero, copre gli anni di conoscenza e fidanzamento della coppia con un andamento sognante, astratto al punto da sfociare in sequenze di musical.

Il secondo atto è a colori e racconta la dura entrata in scena della realtà: la coppia si sfalda progressivamente, anche a causa delle continue scappatelle di Bernstein con giovanotti che seguono i suoi corsi, fino al drammatico epilogo della malattia di Felicia.

Il Bernstein di Cooper, come l’Amadeus di Forman, è un genio carismatico capace di far sentire l’interlocutore al centro del mondo, ma anche di vampirizzarne l’esistenza. Se però le intemperanze di Mozart nei confronti di Costanze venivano raccontate dall’occhio esterno di un Salieri, il tentativo di Bradley Cooper è offrire allo spettatore un doppio punto di vista coniugale, sfumato e impalpabile ma tendente all’equilibrio – come ben rappresentato dalle sequenze di marito e moglie schiena contro schiena nel parco.

Non ascoltiamo solo la voce di Bernstein: anche quella di Felicia attraversa lo schermo ad alto volume, con la disperazione di chi si credeva abbastanza forte da sostenere ogni giorno il peso di una personalità ingombrante e si ritrova invece a soccombere. Questo tentativo di duetto, seppur nitido e comprensibile, non riesce fino in fondo: la figura di Bernstein torreggia su quella di Felicia anche nell’universo fiction di Cooper, appiattendo la duplice dimensione del punto di vista in un messaggio confuso. È la libertà senza compromessi, anche rispetto alla monogamia, a permettere al genio di sperimentare il proprio genio? O quella stessa libertà è il puro atto di egoismo di qualcuno che si sente al di sopra delle regole in virtù del proprio talento?

In Maestro troviamo alcune sequenze di conduzione di orchestra veramente potenti ed efficaci, manca invece quasi del tutto la parte del processo creativo, così centrale nell’Amadeus di Forman. Notevole la capacità mimetica di Bradley Cooper, che (complice anche il trucco) riesce a offrire un calco di Bernstein consapevolmente impressionante.

La gestione del materiale narrativo risulta più salda nel primo atto, ben sostenuto da trovate teatrali e sequenze immaginifiche, per andare a sfilacciarsi nel secondo: Maestro è comunque una seconda prova solida, per un regista che sta trovando temi, strade e linguaggi coerenti con il suo fare cinema.

Sara Boero

PRO CONTRO
  • Le interpretazioni della coppia, piene di romanticismo nel primo atto e drammatiche nel secondo. In particolare, una deliziosa Carey Mulligan.
  • Le sequenze “fantastiche” di ballo del primo atto, sapientemente accompagnate da scelte registiche fluide.
  • L’efficace “ritratto d’artista”, con le contraddizioni del genio.
  • La gestione non ottimale dei punti di vista: l’intento paritario è chiaro, l’esito meno.
  • Il poco spazio lasciato al cuore del personaggio: la sua musica. Le sequenze di conduzione d’orchestra sono memorabili, ma la scelta di mettere la coppia al centro del palcoscenico penalizza l’inquadramento storico di alcuni dei lavori principali di Bernstein.
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