Cannibal Holocaust: 43 anni dopo

Se vi fate un giro sulle pagine di cinema sui social network noterete, come già accadeva ai tempi di forum, che Cannibal Holocaust polarizza i giudizi: non ci sono mezze misure riguardo il film di Ruggero Deodato, o un caposaldo del genere o un insulto alla settima arte. Sappiamo che il cannibal movie per eccellenza si è attirato negli anni le antipatie dei più per alcune scene di reali uccisioni di animali che il regista ha ribadito più e più volte essere delle riprese dei “pasti” della troupe, aggiunte nel montaggio per creare enfasi (o shock) nel racconto, ma stavolta il tempo non ha perdonato e, se vogliamo, ha anche fomentato la rabbia e il rancore verso questa discutibile scelta portando la singolare opera ad essere bollata come inaccettabile. Ma cosa possiamo scorgere dietro un film diventato leggenda?

Alla ricerca del film proibito!

Gli amanti del cinema di genere e collezionisti che viaggiano oggi sulla quarantina, come il sottoscritto, sapranno che Cannibal Holocaust rappresentava un tempo un vero tesoro da scovare, il classico film “proibito” e introvabile bramato per anni. Insomma, quel film estremo che l’amico o il conoscente era riuscito a vedere, magari anche al cinema, e che te ne parlava come qualcosa di sconvolgente ma che non potevi appurare con i tuoi occhi perché il film era praticamente introvabile su supporto nelle videoteche, neanche a pensarci per un passaggio televisivo.

Ed è anche per motivi come questo che, negli anni ’90, molti amanti del cinema di genere e collezionisti si creavano una rete di “amici di penna” collezionisti sparsi per l’Italia con i quali scambiarsi periodicamente le liste aggiornate dei nuovi VHS aggiunti alla collezione, dai quali poter fare delle copie pirata per alimentare la cultura di ambo le parti. Da specificare che, in quanto collezionisti, le copie pirata erano considerate sempre “provvisorie”, utili solo a vederli quei film con la speranza, un giorno, di poterle sostituire con introvabili VHS originali scovati nei mercatini o negli anfratti più bui delle videoteche di quartiere.

Eh sì, la quotidianità senza internet era molto diversa da come la conosciamo oggi!

Ed è così che film come Cannibal Holocaust arrivavano all’attenzione degli appassionati che negli anni ’90 avevano dai 14 ai 18 anni, come è accaduto al sottoscritto.

Va detto che il film di Ruggero Deodato difficilmente conquista alla prima visione. Si tratta di un film realmente estremo e questo oltre le scene reali con gli animali, perché mostra una serie di momenti di violenza (non reale, ovviamente), ferocia e di disgusto davvero shoccanti capaci di mettere alla prova gli stomaci anche degli spettatori più scafati. Quindi avvicinarsi per la prima volta a Cannibal Holocaust vuol dire essere bombardati di scene che sanno mettere a disagio e questo può influire negativamente nella visione. Però, al di là dell’approccio che si possa avere, Cannibal Holocaust è un film che non lascia affatto indifferenti e, soprattutto, si fa portavoce di un messaggio fortissimo e dirompente che ancora oggi risulta particolarmente attuale: chi sono i veri “cannibali”?

E per cannibali non si intendono solo le tribù di antropofagi del Sud America. I cannibali sono coloro che distruggono i propri simili e l’ambiente che li ospita, persone senza morale e senza “palle” che vivono come parassiti, si approfittano del prossimo, lo derubano degli averi, degli amori e della dignità per biechi interessi personali.

È una domanda retorica quella che si pone il personaggio interpretato da Robert Kerman alla fine del film, che in quanto intelligente ed empatico una morale ce l’ha, ma è anche una domanda che pone agli spettatori e ai responsabili dell’emittente tv per la quale è stato chiamato a lavorare e che il servizio avrebbero comunque voluto confezionarlo, rendendosi complici di quei cannibali metropolitani di cui avevano appena visto le barbare gesta.

L’avventura tortuosa di Monsieur Cannibal

Cannibal Holocaust arrivava nei cinema nel febbraio del 1980 dopo un percorso produttivo decisamente complesso, soprattutto in fase di riprese, dal momento che il film è stato girato davvero nella giungla (in una zona della Colombia, nota come Leticia) con tutte le difficoltà del caso. Non si trattava di certo del primo esponente del cannibal movie, filone in voga già quasi da dieci anni e del quale lo stesso Deodato aveva firmato l’ottimo Ultimo mondo cannibale (1977), ma col tempo Cannibal Holocaust ne è diventato l’esponente di spicco, il più famoso nel mondo, anche e soprattutto per quell’alone da film proibito che poi ha fatto scuola anche per i titoli a venire (soprattutto Cannibal Ferox e Mangiati vivi! di Umberto Lenzi, che in un certo senso era stato nel 1972 il precursore del filone con Il paese del sesso selvaggio).

La forza dirompente di Cannibal Holocaust, oltre che nelle immagini shoccanti e nel messaggio di dura critica sia al mondo dei mass media che al bieco arrivismo di certe persone del settore audiovisivo, stava nella tecnica.

Il film è idealmente diviso in due parti: i primi quaranta minuti mostrano il professor Monroe (Robert Kerman) e il suo team alla ricerca del documentarista Alan Yates (Gabriel Yorke) e della sua troupe (Francesca Ciardi, Perry Pirkanen, Luca Barbareschi) dispersi nella giungla amazzonica, partiti per documentare le tribù della zona. La seconda parte del film, invece, è un primissimo esempio di film found footage con la tecnica del mockumentary. Monroe trova le bobine di pellicola del girato di Yates e le visiona insieme ai tecnici e ai responsabili dell’emittente televisiva che avevano commissionato la spedizione di ricerca. Da quel momento, quello che lo spettatore vede è il girato di Yates e i suoi collaboratori, con una grana d’immagine differente, sporcature, audio mancante in alcuni punti. In pratica quello che nel 1999 avrebbero fatto Eduardo Sánchez e Daniel Myrick con The Blair Witch Project aprendo la strada al linguaggio del mockumentary nel cinema horror mainstream, lo aveva già fatto Ruggero Deodato vent’anni prima con Cannibal Holocaust.

Deodato aveva realizzato un film che non solo era pionieristico ma addirittura in fin troppo anticipo sui tempi, tanto da non essere capito o demonizzato da qualcuno.

Dai racconti che il regista romano ha fatto negli anni, sappiamo che fu minacciato e quasi linciato durante la promozione del film in alcune parti del mondo perché il pubblico e perfino la stampa avanzarono l’ipotesi che si trattasse di uno snuff movie, cioè che delle persone fossero davvero state torturate e uccise durante la realizzazione del film (c’è da dire che effetti speciali così realistici se ne vedevano davvero di rado). Ma, soprattutto, Deodato e i suoi collaboratori hanno avuto una pessima avventura in Italia, dove il film fu ritirato dai cinema dopo appena un mese dall’uscita e finirono tutti sotto processo in quanto la pellicola venne accusata di essere «opera contraria al buon costume e alla morale». Il risultato del processo fu abbastanza inaspettato: Deodato, lo sceneggiatore Gianfranco Clerici, i produttori e il distributore della pellicola furono condannati a quattro mesi di reclusione, 400.000 lire di multa e un mese di arresto, con la condizionale. Fu fatto ricorso, gli attori che interpretarono i documentaristi nel film furono chiamati in aula per testimoniare di essere vivi e non essere stati torturati, inoltre la troupe ha dovuto dimostrare in tribunale che le scene di cannibalismo erano state realizzate con l’ausilio di effetti speciali (ed ecco che ritorna il realismo dei magnifici effetti di Aldo Gasparri), mentre per l’uccisione degli animali Deodato ha dovuto ricorrere alla giustificazione degli intenti documentaristici.

Insomma, Cannibal Holocaust ne ha passate di ogni e il film è rimasto bloccato per anni, “riabilitato” dalla Corte di Cassazione solo nel 1984, quando è potuto riuscire al cinema, in versione integrale (la prima uscita del 1980 presentava numerosi tagli di censura) e vietato ai minori. Ovviamente non solo l’Italia si accanì contro il film di Deodato: la storia ci dice che Cannibal Holocaust è stato censurato in oltre 50 paesi del mondo, praticamente un record, oltre che essere ufficialmente bannato in Gran Bretagna, inserito nella famosa lista dei video nasty.

Un’eredità cannibale

Oggi, oltre all’indignazione che comprensibilmente suscita ancora in qualcuno per determinati motivi, Cannibal Holocaust è riuscito a passare quella linea di demarcazione che lo ha trasformato in un cult e nella quale missione si stava già impegnando trent’anni fa.

Nel 2004 la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia l’ha proiettato, alla presenza del regista, nella rassegna Italian Kings of the B’s, lo stesso Ruggero Deodato – che ci ha lasciati lo scorso dicembre – è diventato uno dei volti italiani del cinema horror più celebrati all’estero: in Francia era conosciuto come Monsieur Cannibal ed Eli Roth l’ha voluto omaggiare prima in Hostel: Part II affidandogli un ruolo (del cannibale, ovviamente), poi realizzando una sorta di tributo/remake di Cannibal Holocaust nel 2013 con il suo The Green Inferno. Non sono mancati, negli anni, anche cloni e remake non ufficiali, dei quali ricordiamo nel 2004 Mondo Cannibale di Bruno Mattei, di cui Deodato non ebbe gran piacere.

Vedere Cannibal Holocaust con gli occhi del 2023 sicuramente non è come vederlo con quelli del 1980, ma risulta ancora oggi incredibilmente moderno, conservando intatta tutta la sua potenza: il contatto reale e verace con la Natura, la ferocia e lo shock visivo, la critica senza inibizioni al Sistema. Cannibal Holocaust fa riflettere, fa arrabbiare, disgusta, diverte perfino ma ancora oggi, dopo 43 anni, non lascia indifferenti.

Cannibal Holocaust torna al cinema il 21-22-23 luglio in alcune sale selezionate distribuito, nella sua versione restaurata e integrale, da Cat People Distribuzione e a settembre tornerà disponibile anche in home video con Midnight Factory, per la prima volta in 4K UHD in una edizione da collezione.

Roberto Giacomelli

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