The Place, la recensione

Quanto può influire un grande successo nella carriera di un autore? Tanto, sicuramente, e non essenzialmente in maniera positiva. È un po’ quello che viene da pensare dopo la visione di The Place, il nuovo film di Paolo Genovese, un film che sicuramente non sarebbe mai stato realizzato se il suo precedente lavoro, Perfetti Sconosciuti, non avesse incassato più di 17 milioni di euro guadagnando apprezzamenti dalla critica e acquisizioni dai mercati esteri. Perché The Place è un film che deve sicuramente da Perfetti Sconosciuti l’impianto corale (e condivide buona parte del cast), ma soprattutto è un film così anti-commerciale che difficilmente avrebbe trovato altrimenti un iter produttivo.

The Place nasce come adattamento cinematografico della serie tv statunitense The Booth and the End, creata da Christopher Kubasik nel 2010 e attualmente giunta alla seconda stagione. Se avete presente la serie sapete cosa aspettarvi ma il dato sconcertante è che Genovese, anche autore della sceneggiatura insieme ad Isabella Aguilar, non ha adattato ma si è limitato a riproporre in maniera fin troppo fedele quello che si è già visto in tv: dai personaggi alle storie a volte un po’ ammorbidite da un valore moraleggiante più consistente. Ma l’aggravante è che una struttura di per se già abbastanza pesante e anti-cinematografica (televisiva) come quella di The Booth and the End, che in tv è diluita in pillole di 25 minuti, qui è dilatata in 110 estenuanti minuti, durante i quali vediamo il solo alternarsi e perpetrarsi di volti noti del panorama cinematografico italiano al tavolo di un bar.

Dispiace dirlo, ma The Place è un’esperienza di visione davvero noiosa. Non c’è altro aggettivo per descrivere il dramma di Genovese, che non riesce ad acquistare mai il ritmo narrativo che dovrebbe essere assicurato dalla descrizione verbale dell’azione… che, appunto, rimane solo una descrizione verbale.

La storia ci immerge nell’attività di un misterioso uomo – interpretato da Valerio Mastandrea – che passa le sue giornate seduto al tavolo di un bar e incontra persone. Questi individui gli chiedono favori e lui, servendosi di un’agenda, assegna loro compiti da portare a termine per vedere esaudite le loro richieste. Si tratta di compiti, per lo più, deplorevoli.

E così, di fronte al luciferino Mastandrea vedremo sfilare Marco Giallini poliziotto in cerca di riallacciare un rapporto con il figlio, Vittoria Puccini che rivendica una perduta intesa sessuale con suo marito, Rocco Papaleo che vuole una notte di sesso con una pin-up, Vinicio Marchioni che chiede una cura per il figlioletto malato terminale, Alba Rohrwacher è una suora che ha perso la vocazione, Alessandro Borghi un cieco che vuole riacquistare la vista, Silvia D’Amico vuole essere la ragazza più bella che c’è e Giulia Lazzarini vorrebbe che suo marito guarisse dall’Alzheimer.

Le storie del nutrito gruppo di clienti, come è facile aspettarsi, finiscono per intrecciarsi tra loro generando una reazione a catena che spesso ha esiti amari.

The Place non ingrana mai, il lavoro di sceneggiatura è sicuramente molto elaborato ma le storie dei vari personaggi non riescono ad appassionare e la descrizione verbale dell’azione che si svolge al di fuori del bar è un espediente che non regge assolutamente l’attenzione dello spettatore per quasi due ore, così piene, senza sosta, tutte uguali.

A tal proposito, invece che trasporre in maniera così pedissequa The Booth and the End sarebbe stato sicuramente più efficace un tradimento del format e portare l’azione anche fuori, così da fornire un po’ di respiro allo spettatore.

Cast di grandi attori, alcuni tra i migliori del nostro cinema (Giallini, Mastandrea a Marchioni in primis), anche se la performance di Giulia Lazzarini, Silvio Muccino e Sabrina Ferilli non convincono più di tanto, vuoi per un’enfasi recitativa inappropriata (la Lazzarini) o per una mancata aderenza al ruolo assegnato (Muccino e Ferilli).

In conclusione, The Place non convince affatto e risulta un’opera pretenziosa e noiosa che ha fondamentalmente un errore di adattamento: portare The Booth and the End al cinema così com’è senza cambiare una virgola, semplicemente non funziona.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Alcuni dei migliori attori dell’attuale panorama italiano.
  • È davvero noioso, ma tanto!
  • La ripetitiva struttura mutuata dalla serie tv di riferimento non funziona in un lungometraggio.
  • A volte raccontare invece di mostrare è solo frustrante.
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