In a Violent Nature, la recensione
Lo slasher, tra i tanti filoni del cinema horror, è uno di quelli che hanno saputo maggiormente coniugare il consenso del pubblico e quello della critica, con successi commerciali di enorme portata uniti a entusiastiche recensioni. Se però si volesse andare a scovare un vero punto di forza di questo sottogenere, si potrebbe tranquillamente constatare come si presti più di ogni altro ad essere inclusivo e socialitario, in quanto i film con i killer mascherati si prestano benissimo a visioni collettive tra amici. Una formula magica, quella dello slasher, che non annoia mai e riesce sempre a stupire, spaventare e trasmettere il giusto mix tra disgusto, paura e l’immancabile leggero divertimento, ingrediente d’obbligo di ogni storia del genere.
Ma cosa fa il villain di questi film quando non uccide? Quali sono i suoi movimenti, i suoi pensieri, le sue metodologie di pedinamento delle vittime designate? Interrogativi legittimi e stuzzicanti alle quali cerca di dare una risposta Chris Nash che per il suo film d’esordio decide di realizzare un lavoro destinato a riscrivere gli stilemi del genere. In a Violent Nature, infatti, è uno slasher raccontato da una prospettiva mai sondata prima, ovvero quella del killer, e la scelta si rivela vincente per merito del fresco e dinamico approccio narrativo e di uno stile curato e ricercato che concorrono a trascinare lo spettatore in un crescente e inesorabile stato d’ansia e inquietudine.
Il grande merito del regista canadese, reduce da una lunga carriera come montatore e autore di effetti speciali, è quello di cimentarsi nel genere con idee innovative, accompagnate da un timbro autoriale evidente fin dalle prime battute, senza però dimenticare la natura (è proprio il caso di dire) spettacolare e – per certi versi – ludica di questo filone. Violenza, sangue a volontà e omicidi efferati sono dunque garantiti come sempre e sono valorizzati da una grande cura nel realizzare effetti visivi di altissimo spessore
Un incauto e ingenuo gruppo di adolescenti campeggiatori, con l’intento di ravvivare il fine settimana vacanziero, decide di visitare una vecchia torre antincendio e rubare una catenina di poco valore. Quella che sembra una semplice bravata adolescenziale, però, si trasforma ben presto in errore mortale in quanto poco dopo dalle viscere di quel suolo emerge lo spirito di Johnny, un ragazzo disabile vittima in passato di bullismo e deciso a vendicare un vecchio crimine di 60 prima. Ha così inizio la più classica caccia di un killer mascherato nei confronti dei profanatori del suo habitat naturale.
“Backstage di un omicidio”, questo potrebbe essere il sottotitolo di questo battesimo alla regia per Chris Nash il quale, mosso da grande ambizione e approfondita conoscenza della materia, pone al centro della storia un killer dalla psicologia complessa e che ama non solo ammazzare le proprie vittime, ma anche infierire sui loro corpi fino ad annientarli quasi del tutto. Questa forma di sadismo, però, può essere inquadrata come la perfetta metafora della volontà di Nash, che è anche autore della sceneggiatura, di decostruire e reinterpretare lo slasher e tutti gli elementi che lo compongono.
Assistiamo, quindi, a personaggi del tutto privi di profondità emotiva e ad omicidi che non appaiono soltanto come un mero atto di violenza, ma anche e soprattutto come lo sfogo di un disagio, quello di un individuo affetto da grave disabilità psichica, e che rappresentano dunque una visione nuova e poco esplorata dell’atto principe di un film horror.
In a Violent Nature, infatti, si serve del solito canovaccio per condurre lo spettatore all’interno di un plot che magari non sarà avvincente nel senso classico del termine, in quanto è facile prevedere i suoi sviluppi, ma che ha il grande merito di non adagiarsi su binari narrativi già sondati e di coinvolgere il pubblico col passare dei minuti, di cuocerlo a fuoco lento in un turbinio di tensione e inquietudine.
Il sadismo di cui sopra diventa anche lo strumento del regista per dare vita a sequenze splatter da far impallidire Art The Clown di Terrifier, con uccisioni che vanno ben oltre i limiti dello splatter, sangue a fiumi e un utilizzo smodato e spettacolare di armi bianche…per la gioia dei fan. Quest’ultimi, poi, vengo accontentati anche per quanto riguarda la vena citazionistica di Nash che infarcisce il suo film di riferimenti agli archetipi del genere, in particolare Venerdì 13 la cui influenza si sente esplicitamente in un’inquadratura in cui Johnny osserva due ragazze farsi il bagno nel lago, nelle ambientazioni montanare e nel fatto che il nostro killer indossa, come accade per Jason, la sua maschera definitiva soltanto nel corso della storia.
L’approccio autoriale e innovativo, tuttavia, rischia alla lunga diventare agli occhi di una fetta di pubblico il più grande difetto di questo esordio di Nash, in quanto l’autore indugia troppo su lunghe ed estenuanti passeggiate del protagonista che rischiano di sfiancare il pubblico più mainstream e dilatare i ritmi di un film la cui durata appare leggermente eccessiva.
Chris Nash, in conclusione, realizza un ottimo horror destinato a fare scuola e proseliti e a restare impresso nella memoria di quegli appassionati alla ricerca di novità; In a Violent Nature, infatti, è una boccata di ossigeno all’interno di un sottogenere dell’horror che negli ultimi anni si sta mostrando in lenta ripresa, ma spesso deludente e monocorde.
Vincenzo de Divitiis
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