Jurassic World – Il dominio, la recensione
Quanto iniziato nel 2015 da Colin Trevorrow con Jurassic World e proseguito nel 2018 da Juan Antonio Bayona con Jurassic World – Il regno distrutto era destinato a portare esattamente a Jurassic World – Il dominio, terzo capitolo della nuova saga sui dinosauri nonché sesto se inserito nel più ampio progetto “Jurassic” inaugurato da Steven Spielberg nel 1992. Tutti i segnali ci suggerivano che il confine tra l’uomo e il dinosauro sarebbe stato abbattuto: niente più recinzioni e gabbie, ma una coesistenza che in alcuni casi è pacifica, in altri molto rischiosa. Segnali che ci stavano conducendo anche verso l’attuazione di uno sfruttamento collaterale dei dinosauri da parte dell’uomo, non solo relegato ai parchi a tema, ma più ampio e meschino come l’impiego in campo militare o il semplice capriccio qualche milionario che vuole esibire in cortile un animale estinto miliardi di anni fa. Un percorso tracciato, dunque, che allo stesso tempo ci prende un poco in contropiede quando ci accorgiamo che Jurassic World – Il dominio alterna questa visione originale sulla materia con un inaspettato ritorno alle origini, adagiandosi su meccanismi tanto sicuri quanto, ahinoi, troppo risaputi.
Dopo gli eventi catastrofici di Isla Nublar, che hanno portato al trasporto di alcuni dinosauri negli Stati Uniti e poi alla loro accidentale liberazione, gli animali preistorici vivono ormai insieme agli esseri umani alimentando lo stupore di chi si imbatte nei giganteschi erbivori nelle praterie dello Utah, il terrore di chi incrocia un letale carnivoro nelle foreste texane o un predatore marino nell’Oceano Pacifico. Allo stesso tempo, i dinosauri sono finiti nelle mire del mercato nero che li commercia per soddisfare i capricci di alcuni facoltosi compratori, per combattimenti clandestini e perfino per oscuri intenti militari. In mezzo a tutto ciò, si muove la Biosyn, azienda californiana che opera nel campo della genetica e ha creato un’oasi completamente dedicata ai dinosauri nel cuore delle Dolomiti, dove utilizzare proprio il DNA di queste creature per scopi medici, per trovare cure alle malattie che affliggono l’umanità.
In realtà, il CEO della Biosyn Lewis Dodgson ha un secondo fine che viene intercettato dalla paleobotanica Ellie Sutter. La donna, con l’aiuto di una sua vecchia conoscenza, il prof. Ian Malcom, che collabora con la Biosyn, decide di trovare le prove che sta cercando per incastrare Dodgson ma per la riuscita ha bisogno dell’aiuto del paleontologo Alan Grant, suo ex fidanzato nonché compagno di avventure all’epoca del Jurassic Park di John Hammond.
Allo stesso tempo, l’ex genetista del Jurassic World Claire Dearing, che ora si dedica alla liberazione e salvaguardia di specie preistoriche, e il suo compagno ed ex addestratore di velociraptor Owen Grady, hanno “adottato” Maisie Lockwood e la tengono lontana da sguardi indiscreti temendo che il suo eccezionale status di primo clone umano possa far gola a qualche realtà scientifica. Quando Maisie viene rapita e con lei anche il cucciolo di Blue, il velociraptor addestrato da Owen, la coppia si mette alla loro ricerca incrociando irrimediabilmente la loro avventura con quella di Alan Grant, Ellie Sutter e Ian Malcom.
Chi davvero conosce Jurassic Park di Michael Crichton noterà immediatamente l’importante recupero fatto da Colin Trevorrow, che torna dietro la macchina da presa oltre che occuparsi per la terza volta dello script: la Biosyn e il suo esponente di spicco Lewis Dodgson. Rivale storica della InGen ma esclusa dai film di Spielberg – se non per un riferimento mai esplicito nel primo film – la Biosyn rappresenta la vera minaccia di Jurassic World – Il dominio, l’elemento attorno al quale ruotano le due storie che confluiscono in una nel terzo atto. Inquadrata da Trevorrow quasi al pari di un’agenzia criminale dal sapore bondiano, la Biosyn trova nel Dr. Wu – presenza ormai immancabile della saga – il genio da spremere per loschi traffici genetici mirati a stravolgere l’ecosistema per meri scopi commerciali. Non entriamo nel dettaglio per non cadere nello spoiler, ma sappiate che la stessa Biosyn è croce e delizia dell’intero film.
Da una parte l’inserimento di questa realtà porta avanti con coerenza il discorso fanta-scientifico iniziato con Jurassic World e mirato all’utilizzo scellerato della genetica per scopi ancora meno etici delle discutibili visioni utopiche di John Hammond; dall’altra, però, finisce per ingabbiare il terzo Jurassic World in un eterno ritorno di temi e situazioni già viste che ha del preoccupante. Il film di Trevorrow, infatti, è un continuo di alti e bassi, di bellissime suggestioni e scelte narrative discutibili; ma soprattutto è un film troppo, troppo denso di eventi e personaggi che non riescono a trovare l’adeguato sviluppo e caratterizzazione. Con i suoi 143 minuti di durata, che ne fanno il capitolo più lungo di tutta la saga, Jurassic World – Il dominio si trova a gestire letteralmente due storyline principali, ognuna delle quali ha personaggi differenti che perseguono obiettivi diversi, per farle poi confluire in una unica linea narrativa solo nel terzo atto. Questo porta a fare delle scelte su cosa e come raccontare e non sempre si tratta di scelte adeguate.
La prima parte del film, quella più originale e narrativamente legata a Il regno distrutto, è troppo poco Jurassic: i dinosauri quasi non si vedono e c’è un’esigenza spasmodica di spiegare cosa è accaduto e cosa sta accadendo mostrando la difficoltà narrativa che Trevorrow e la co-sceneggiatrice Emily Carmichael hanno incontrato nel riprendere le fila del discorso e legarle al passato. Infatti, la particolarità di questo Jurassic World sta proprio nel collegarsi direttamente alla saga originaria attraverso la presenza dei suoi tre protagonisti interpretati ancora una volta da Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum, quest’ultimo comparso già in un cammeo ne Il regno distrutto.
La parte centrale del film, invece, ci porta in giro per il mondo e si incentra maggiormente sui personaggi interpretati da Chris Pratt e Bryce Dallas Howard, con i quali Trevorrow sembra più sciolto e a suo agio. In questo blocco narrativo viene dato risalto soprattutto all’azione con una scena madre, ambientata a Malta, davvero sorprendente a livello di spettacolarità e coinvolgimento. Però siamo lontani da quello a cui la saga di Jurassic ci ha abituati e quasi più nei territori dell’azione esagitata di un recente capitolo di Mission: Impossible o Fast and Furious.
L’ultima parte, quella più consistente sul runtime del film, è invece mutuata direttamente dal primo e dal quarto capitolo della saga, con un luogo circoscritto, molti interni e dinosauri assassini a piede libero che danno il via al bodycount (senza sangue). Visto che parliamo di Jurassic World, un inserimento di questo tipo era d’obbligo, ma sembra davvero un ritorno indietro che a questo punto non ci aspettavamo, il classico survival avventuroso e dai toni horror da cui tutto ha avuto inizio.
Con questo suo andirivieni di toni, generi e argomenti, Jurassic World – Il dominio non ha un’identità chiara e se da una parte farà felici tutti i bambini cresciuti (me compreso) che chiedono rettili terrorizzanti e letali, dall’altra lascerà un po’ di amaro in bocca in chi sperava in una vera evoluzione narrativa e una conclusione memorabile della saga. Inoltre, la densità di questo film, che di fatto è una summa di due diverse storie, non aiuta la fruizione rendendolo a tratti macchinoso e non sempre approfondito come sarebbe dovuto essere.
Al netto di diverse felici intuizioni e la soddisfazione di veder riunite due generazioni “giurassiche”, Jurassic World – Il dominio si piazza come fanalino di coda della saga.
Roberto Giacomelli
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