Sempre più bello, la recensione

Marta è una giovane ragazza un po’ bruttina ma consapevole di esserlo. Dal buon umore contagioso e sempre pronta a vedere il bicchiere mezzo pieno, Marta lotta per la sua vita sin da quando è nata poiché affetta da fibrosi cistica (che lei preferisce chiamare mucoviscidosi, poiché è un termine tanto più arcaico quanto più buffo). Orfana di entrambi i genitori, la ragazza può fare sempre affidamento sull’aiuto dei suoi due coinquilini nonché migliori amici – Federica e Jacopo – e, come tutti i suoi coetanei, sogna l’arrivo del Principe Azzurro. Dopo una primissima fiamma – l’irraggiungibile Arturo – rivelatasi nientemeno che un fuoco di paglia, adesso Marta sembra aver trovato la propria isola ideale in Gabriele, un sognatore e ritrattista.

Nel capitolo precedente della saga, Ancora più bello, avevamo lasciato Marta pronta ad entrare in sala operatoria per tentare il trapianto di polmoni e sconfiggere una volta per tutti la perfida mucoviscidosi. Il trapianto va liscio, Marta si lascia alle spalle la malattia e adesso può finalmente andare a convivere con Gabriele in una piccola casetta nella periferia di Torino. La vita, tanto per Marta e Gabriele che per Federica e Jacopo, sembra scorrere finalmente per il verso giusto ma tutto può essere scosso nuovamente quando l’ombra di una nonna rinnegata torna a riaffacciarsi dal passato.

Nell’ottobre del 2020, dopo esser stato presentato ad Alice nella Città nel contesto della Festa del Cinema di Roma e quando le sale sembravano pian piano risollevarsi dal primo e durissimo lockdown, usciva sui nostri schermi Sul più bello, un’agrodolce commedia romantica giovanile tratta dalle pagine dell’omonimo romanzo scritto da Eleonora Gaggero.

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Sul più bello nasceva chiaramente con l’intento di infilarsi a gamba tesa in un filone cinematografico piuttosto prolifico, quel filone smanioso di unire in una sola opera due generi ben distinti ma sempre più spesso complementari. Da una parte il coming of age e dall’altra il cancer movie (termine coniato per indicare i film sul cancro ma poi esteso anche ad altre malattie). Un’accoppiata di generi assolutamente vincente che ha visto nascere, in tempi relativamente recenti, moltissime pellicole smaniose di ibridare la rom-com giovanile con il dramma ospedaliero. Tra i tanti titoli a tema prodotti è impossibile non citare Colpa delle stelle e Io prima di te, che ad oggi restano i due più fortunati al botteghino, ma a questi si aggiungono anche altri titoli minori come Noi siamo tutto, Il sole a mezzanotte e A un metro da te (quest’ultimo, sempre sul tema della fibrosi cistica).

Diretto dall’esordiente Alice Filippi e accolto piuttosto bene da pubblico e critica, Sul più bello aveva due grandi meriti: aver lanciato sul grande schermo la talentuosa Ludovica Francesconi (sorella di Ginevra Francesconi, vista in Genitori vs Influencer e The Nest), ad oggi uno dei volti giovani più promettenti del nostro cinema, e aver cercato di proporre un cinema italiano differente, meno impolverato e più frizzante. Nonostante qualche cliché di troppo concentrato soprattutto nella prima parte, infatti, Sul più bello riusciva a funzionare bene grazie ad una confezione molto curata, un’aria da favola adolescenziale sempre presente ed una fusione ben equilibrata tra commedia, dramma e sentimenti.

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Il successo di Sul più bello è stato tale che Eagle Pictures (che produce direttamente, oltre a distribuire) mette subito in cantiere due sequel da girare nella formula back to back: Ancora più bello e Sempre più bello. La storia di Marta e della sua mucoviscidosi viene dunque portata avanti, verso nuove avventure, ma curiosamente Alice Filippi molla la regia e al suo posto subentra il veterano Claudio Norza (65 anni e fattosi le ossa in tv con Un posto al sole, Un medico in famiglia e La squadra) che, appunto, dirige entrambi i sequel.

E il cambio di regia verso questa precisa scelta segna l’evidente volontà da parte di Eagle Pictures di abbracciare su tutta la linea l’auto-sabotaggio, uccidendo completamente quanto di buono era stato fatto da Alice Filippi nel primo film.

Si, perché mettere un regista anziano e che viene dal mondo delle (vecchie) fiction televisive al timone di un coming of age che vorrebbe essere cinematograficamente moderno e che vorrebbe parlare dei giovani di oggi, delle loro fragilità così come dei loro sogni, è quanto di più insensato si potesse fare.

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Le domande sorgono spontanee a questo punto: possibile non ci fosse un regista più giovane e motivato che volesse portare in scena – con cognizione di causa – un dramma giovanile dai toni frizzanti? Perché il cinema italiano deve ostinarsi a voltare le spalle alle nuove generazioni, sempre e comunque, persino quando sono proprio le storie di giovani ad essere narrate? Come può un regista come Claudio Norza sapere cosa dicono, come parlano, per cosa soffrono e cosa sognano i ragazzi di oggi?

La risposta a tutte queste domande è tragicamente la più ovvia e così entrambi i sequel di Sul più bello cadono nella trappola che affligge troppo spesso il nostro cinema giovanile. Sono film falsi, sbagliati, pieni zeppi di stereotipi improbabili che non rappresentano minimamente i giovani di oggi. Tanto Ancora più bello quanto Sempre più bello raccontano il mondo dei ragazzi in modo goffo e patetico, incappando di continuo in scelte insensate ed escamotage narrativi disarmanti (come quando, nel secondo film, Marta fa lo spogliarello via skype, vestita da coniglio, sulle note di Je t’aime…Moi non plus di Jane Birkin e Serge Gainsbourg). Insomma, una visione dei “gggiovani” che sembra essersi fermata ai tempi in cui Francesco Salvi cantava C’è da spostare una macchina.

Se già in Ancora più bello era evidente lo scarto qualitativo con il primo film, in Sempre più bello la situazione degenera così tanto che davvero si fatica a capire cosa sia successo in casa Eagle nel momento in cui la sceneggiatura è stata scritta e approvata.

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Il terzo film della saga, infatti, inizia facendosi un auto-goal clamoroso: ossia risolvere il problema della fibrosi cistica nei primi cinque minuti di film (per poi riprenderlo repentinamente negli ultimi quindici minuti). Ergo, il film mostra subito il fianco scoperto e non sa più di cosa parlare. Si temporeggia tantissimo in Sempre più bello proprio perché non c’è più una storia da raccontare. Ci si dimentica che era proprio la malattia il focus del primo film (lo stesso titolo allude al fatto che Marta potrebbe morire da un momento all’altro, dunque anche sul più bello), era la mucoviscidosi che rendeva unico e speciale il personaggio di Marta, costantemente allegra e positiva malgrado le cure, gli ospedali e le crisi respiratorie.

Voltando le spalle al tema centrale, risolvendo prematuramente il conflitto della protagonista, Sempre più bello porta avanti lo schema avviato con il secondo film, uno schema in cui Marta non è nemmeno più la protagonista della storia ma ci si concentra su una narrazione che diventa inutilmente corale. Inutilmente perché le storyline secondarie che vengono aperte in Ancora più bello e chiuse in Sempre più bello non sono per niente interessanti, piuttosto dei chiari riempitivi di minutaggio.

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La storia d’amore tra Jacopo – il coinquilino gay di Marta – e il medico giovanotto che ha in cura la nostra protagonista proprio non sta in piedi; così come risulta del tutto priva di mordente la storia tra la bella influencer Rebecca (che ha il volto della vera influencer Jenny De Nucci) e il ragazzo ciocciottello e sfigato che viene bullizzato da tutti.

Ma il fondo del barile viene raschiato in questo terzo film quando si decide di prendere tempo raccontano la storia di Jacopo e Federica alle prese con un’improbabile adozione e, soprattutto, quando subentra la drammatica (e ridicola) storyline della misteriosa nonna di Marta. Una nonna che senza alcun motivo narrativo ha il volto di Drusilla Foer, ovvero l’artista Gianluca Gori. Ecco, aver scelto un uomo (!!) per interpretare la nonna di Marta e senza giustificare in alcun modo questa scelta è una delle cose più ridicole, insensate e trash che si potessero fare all’interno di un film come questo. Anche perché, in una scena in modo particolare, questa scelta assume un connotato talmente inquietante che sembra di assistere ad un anomalo e spaventoso mix tra Vestito per uccidere e Psycho.

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Insomma, davvero un’esplosione di trash come non lo si vedeva da anni. Anzi, come forse non si era mai visto.

Non c’è proprio nulla da salvare in Sempre più bello, un disastro termonucleare che non fa altro che asfaltare ferocemente quanto di buono era stato fatto nel primo film ma, soprattutto, un disastro che si fa specchio di alcune brutte abitudini che il nostro cinema non riesce proprio a perdere: in modo particolare quella di fare film senza sapere a chi si parla e cosa si dice.

Consigliato solo se si vuole passare qualche serata scanzonata tra amici all’insegna del cinema trash.

Giampaolo Ristori

PRO CONTRO
Ludovica Francesconi resta un talento indiscusso. Aspettiamo di vederla in qualche altro film di ben altro spessore qualitativo. Tutto il resto.
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