007 Spectre, la recensione

Con 63 anni sul groppone e ben 24 film ufficiali, la saga di 007 è la più corposa e longeva attualmente sul mercato. Eppure, a guardare l’ultimo capitolo, 007 SPECTRE, non si direbbe che abbiamo a che fare con un prodotto così âgée. La nuova direzione presa dalla produttrice Barbara Broccoli nel 2006 con l’intenzione di vero e proprio reboot della saga ispirata ai romanzi di Ian Fleming ha dato i suoi frutti e il nuovo corso di 007 è diventato, di fatto, un qualche cosa di nuovo e diverso, capace di svecchiare un franchise che con gli ultimi film (quelli con Pierce Brosnan, per intenderci) stava cominciando seriamente a puzzare di muffa.

Casinò Royale aveva portato una boccata d’aria fresca, pur facendo storcere il naso ai puristi che hanno inizialmente visto Daniel Craig inadeguato per il ruolo. La saga è proseguita zoppicando con Quantum of Solace (2008) ed è risalita alla grande con Skyfall (2012), uno dei capitoli più anomali dell’intero universo bondiano. Squadra che vince non si cambia e anche in SPECTRE vengono confermati Sam Mendes alla regia e John Logan alla sceneggiatura, confezionando un capitolo che chiude ipoteticamente un arco narrativo (quello dell’era Craig) e pone un ideale ponte tra il nuovo e il vecchio Bond.

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Alla direzione dell’MI6 viene affiancato il membro del governo britannico Max Denbigh, che minaccia grandi rivoluzioni, a cominciare dalla sospensione del protocollo “agenti doppio zero”, rimpiazzabili con droni armati. Nel frattempo James Bond riceve un messaggio dalla defunta M, che gli assegna un’ultima missione che lo porta prima a Città del Messico e poi a Roma, sulle tracce della misteriosa organizzazione criminale conosciuta come SPECTRE.

Per adempiere alla rischiosa missione di contaminare il nuovo Bond con le “antiche” suggestioni, già intrapresa in sordina con Skyfall con l’introduzione di Miss Moneypenny, Q e un M di sesso maschile, Sam Mendes punta sull’organizzazione criminale più famosa del mondo di Ian Fleming, la SPECTRE, introdotta sui romanzi in Operazione Tuono e presente già nel primo film, Agente 007 – Licenza di uccidere. Ovviamente, se c’è la SPECTRE non può mancare il Numero 1, Ernst Stavro Blofeld, incarnato da diversi attori ma reso famoso dal compianto Donald Pleasence in Agente 007 – Si vive solo due volte (1967), che nel reboot prende le sembianze del tarantiniano Christoph Waltz.

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L’idea che sta dietro a SPECTRE è di seguire coerentemente il corso avviato con la nuova incarnazione di James Bond, fatta di trame realistiche e un taglio maggiormente dark in confronto al passato, con alcuni importanti retroscena sulla vita personale dell’agente 007, sempre taciuta nei film della saga e cominciata ad esplorare proprio in Skyfall. In questo nuovo film sono molti i dettagli sul passato di Bond che vengono a galla, alcuni sotto forma di puerili colpi di scena, ma quello che importa maggiormente lo sceneggiatore John Logan, che firma il film insieme a Neal Purvis, Robert Wade e Jez Butterworth, è creare una personalità a Bond che si discosti da quella pregressa per finire irrimediabilmente a ricalcarla. Sembra una contraddizione, ma il Bond di Craig è molto diverso da quello di Connery, Moore, Dalton o Brosnan non solo per l’aspetto, ma anche dall’agire, meno elegante e più istintivo, e per una minore concessione all’ironia. Pian piano, in SPECTRE, Bond comincia ad avvicinarsi a quell’ideale di agente segreto che abbiamo imparato a conoscere in precedenza e se ancora i suoi modi sono irruenti e la parola “basso profilo” non riesce ad entrare nel suo vocabolario, cominciamo a intravedere una maggiore sicurezza nell’agire un’inclinazione all’umorismo british che prima era assente. Tutto ciò non fa che confermare l’idea di reboot orientata verso il prequel, tanto che questo Bond è un Bond diverso (per ora) solo perché è un Bond embrionale e il suo carattere più familiare agli spettatori di vecchia data si sta formando film dopo film.

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A incidere su questa fase di passaggio ci sono anche una serie di gustose citazioni di cui SPECTRE è colmo. Se c’è Blofeld deve esserci un gatto bianco e alcune ben note caratteristiche del villain vengono qui pedissequamente riproposte, inoltre c’è una scena con Bond in pericolo che richiama tanto le trappole mortali dei vecchi film (Missione Goldfinger su tutti) e non poteva mancare il ritorno del glorioso “scagnozzo”, sulla scia dei celebri Squalo o Oddjob, che qui ha la fisicità del wrestler Dave Bautista, imbattibile colosso con pollici di metallo. Come in ogni capitolo c’è la Bond-girl, che stavolta ha il volto di Léa Seydoux, fragile donzella in pericolo e allo stesso tempo tostissima, come il cinema moderno chiede.

In tutto questo gioco di rimandi che farà felice il pubblico esperto, abbiamo comunque un film solido che incastra a dovere tutti i tasselli della saga con Craig facendo, per la prima volta nella storia di 007, un enorme macro-trama lunga quattro film.

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La scena d’apertura, ambientata a Città del Messico, è stata spacciata come una delle più belle e complesse scene d’azione della storia del cinema. Ovviamente è un’esagerazione e questo prologo si lascia apprezzare più per l’attenta regia (un lunghissimo piano sequenza introduttivo) che per i botti e l’azione. Segue una struttura “a livelli” con diverse tappe geografiche (Roma, Austria, deserto del Sahara) e un andamento ripetitivo fondato sull’accumulo, dove ogni “livello” ha lo scopo di raccogliere un’informazione aggiuntiva e si conclude con una spettacolare scena d’azione.

SPECTRE diverte come i blockbuster hollywoodiani più riusciti sanno fare e mostra una consapevolezza identitaria e un’intelligenza che stupisce perfino, visto il “dovere” commerciale su cui ogni capitolo si basa. Il cast è composto da volti noti della saga e se Craig – qui forse alla sua ultima performance bondiana -, Ralph Fiennes, Ben Whishaw e Naomi Harris sono ormai rodati, i volti nuovi, oltre ai già citati e francamente ottimi Waltz, Seydoux e Bautista, comprendono la non troppo convincente Monica Bellucci in un piccolo ruolo durante la trasferta romana, e l’adattissimo Andrew Scott, che il pubblico televisivo già conosce come Moriarty nello Scherlock BBC.

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SPECTRE costituisce, quindi, la perfetta chiusura di un’ipotetica tetralogia cominciata con Casinò Royale: da questo momento in poi il James Bond duro e fracassone di Daniel Craig può tranquillamente trasformarsi nel fascinoso e rodato agente segreto al servizio di Sua Maestà.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Malgrado i molti anni, 007 riesce ancora a trovare qualche cosa da dire e divertire genuinamente.
  • I richiami e le citazioni al Bond del passato.
  • Una costruzione narrativa che fa emergere un grande lavoro durato quattro film.
  • Ottimo cast.
  • Alcuni colpi di scena sono telefonati, altri francamente evitabili.
  • La struttura meccanica della prima ora.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 2 voti)
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007 Spectre, la recensione, 7.0 out of 10 based on 2 ratings

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