Ghostbusters: Legacy, una recensione poco obiettiva

Quella che state per leggere non è una recensione obiettiva, ma il parere di un ex-ragazzino che è cresciuto imparando a memoria le battute di Peter Venkman/ Bill Murray ed Egon Spengler/ Harold Ramis, che ai tempi delle elementari giocava in cortile con gli amici cercando fantasmi invisibili con la cartella della scuola sulle spalle a mò di zaino protonico, che si era costruito un rilevatore di ectoplasmi con una vecchia spazzola, una scatolina di cartone e due cannucce del bar. Non può essere una recensione obiettiva perché per quell’ex-ragazzino, ormai quasi quarantenne, Ghostbusters di Ivan Reitman è uno dei film migliori che siano mai stati realizzati e l’agognato VERO terzo capitolo, Ghostbusters: Legacy di Jason Reitman ne è davvero un degno sequel/revival.

Una lunga strada costellata di spettri

La genesi di Ghostbusters III, che poi avrebbe guadagnato il titolo di Ghostbusters: Afterlife e in Italia Ghostbusters: Legacy, è piuttosto travagliata. Il progetto iniziò a prendere forma già all’indomani dell’uscita di Ghostbusters II nel 1989 con una sceneggiatura firmata da Dan Aykroyd provvisoriamente intitolata Ghostbusters III: Hellbent che avrebbe dovuto introdurre un nuovo team di acchiappafantasmi più giovani. Il progetto però rimase congelato per anni, soprattutto a causa del mancato interesse da parte di Bill Murray di tornare nel ruolo del Dr. Venkman, fino ad essere abbandonato e ripreso solo nel 2004 da Sony con un lunghissimo tira-e-molla tra lo Studio, Bill Murray e gli autori Dan Aykroyd, Harold Ramis e Ivan Reitman, che si era mostrato interessato a riprendere il ruolo di regista. Tra i capricci di Murray, continue riscritture della sceneggiatura e preventivi con budget stellari che la Sony non poteva permettersi, gli script di Ghostbusters III si susseguirono per quasi dieci anni, finchè Ivan Reitman annunciava che era stato dato il via libera a un remake di Ghostbusters, che lui non lo avrebbe diretto, Aykroyd non lo avrebbe scritto e gli acchiappafantasmi originali non avrebbero ripreso i ruoli. Qualche tempo dopo sopraggiungeva la notizia della morte di Harold Ramis e nel 2016 arrivava nei cinema Ghostbusters di Paul Feig, il reboot al femminile che il pubblico ha odiato e che ha fallito al botteghino.

E giungiamo a Ghostbusters: Legacy che, stando alle parole del regista Jason Reitman, figlio di Ivan e già apprezzatissimo autore per film come Juno, Tra le nuvole, Young Adult e Tully, probabilmente non sarebbe mai arrivato se il film di Paul Feig avesse avuto successo. Il progetto è stato annunciato così come lo conosciamo nel 2019, per un’uscita nell’estate 2020, poi posticipata più volte a causa della pandemia fino al 18 novembre 2021. Jason Reitman ha scritto la sceneggiatura insieme a Gil Kenan (noto come regista del film d’animazione Monster House e del poco riuscito remake di Poltergeist) ispirandosi in parte al soggetto di Dan Aykroyd, che ha supervisionato il progetto e dato il benestare vestendo i panni di produttore, insieme a Ivan Reitman, e interprete. Perché Ray Stanz torna in scena, così come Peter Venkman, Winston Zedmore, Egon Spengler e Janine Melnitz in quello che è a tutti gli effetti il terzo film della saga di Ghostbusters.

ghostbusters legacy

Anche i fantasmi hanno un cuore

Il prologo di Ghostbusters: Legacy ci mostra un uomo, di cui il volto è sempre nascosto nell’ombra, che tenta di intrappolare un’entità d’energia nel campo antistante la sua fattoria; non ci riesce e prima di morire sulla sua poltrona attaccato da una creatura, però, nasconde in casa una trappola in cui è chiaramente custodito un fantasma. Dopo di che facciamo la conoscenza degli Spengler: Callie, mamma single sulla quarantina, e i due figli, Trevor di 15 anni e Phoebe di 12. Hanno problemi economici, stanno per essere sfrattati, e la notizia della morte di Egon, padre di Callie che non vedeva da tantissimi anni, dà loro la speranza di una casa ricevuta in eredità, nella cittadina agricola di Summerville, in Oklahoma. Giunti sul posto scoprono che la casa cade quasi a pezzi, Egon ha lasciato un sacco di debiti e non era ben visto in paese, considerato una sorta di svitato. Se Callie si rimbocca le maniche per rimettere a posto la proprietà, Trevor e Phoebe cercano di ambientarsi in questo posto che sembra così distante dalla loro routine. Trevor mette subito gli occhi su Lucky, una ragazza che lavora come cameriera nel fast food cittadino e si fa assumere come garzone in quel locale, Phoebe invece si iscrive alla scuola estiva, dove conosce il professor Grooberson e Podcast, un suo coetaneo molto sveglio che fa lo youtuber ed ha un programma dedicato all’occultismo e alle cospirazioni. Quando Phoebe capisce che nella vecchia casa in cui ora abita una presenza sta cercando di mettersi in contatto con lei, comincia un’incredibile avventura per impedire a un’antica entità demoniaca di tornare a regnare sulla Terra.

Se nel 1984 Ghostbusters non nasceva precisamente come un film per ragazzini, la ghosbustersmania ha conquistato in brevissimo tempo anche le fasce d’età più piccole, grazie al cartone animato cult andato in onda dal 1986 per ben sette stagioni e la linea di giocattoli che ne era collegata. Nel tempo, quindi, Ghostbusters è diventato un brand kid-friendly e non stupisce se Jason Reitman e Gil Kenan in Ghostbusters: Legacy abbiano scelto di abbassare da subito il target e confezionare un film che parlasse anche e soprattutto ai bambini, compresi ovviamente quelli che bambini lo erano negli anni ’80. Con questa consapevolezza, si è guardato all’oggi, ai successi indiscutibili di Stranger Things e It: Capitolo uno di Andy Muschietti, prodotti che hanno ricodificato certe tematiche che legano l’infanzia al soprannaturale; e non è un caso se nel cast di Ghostbusters: Legacy troviamo Finn Wolfhard nel ruolo dell’adolescente Trevor, attore presente in entrambi i prodotti su menzionati.

ghostbusters legacy

Partendo da questi presupposti, Reitman si è posto un obiettivo ben preciso: realizzare un “vero” film della saga Ghostbusters, colpendo forte sull’aspetto emozionale e dando ai fan quello che i fan avrebbero voluto. Lo chiamano fan-service, in questo film ce n’è, ma non è una “parolaccia”, soprattutto se ben utilizzato e contestualizzato come Reitman e Kenan hanno fatto, restituendo onore ed omaggiando con affetto quello che è diventato uno dei film cardine del cinema fantastico degli ultimi 40 anni.

Ghostbusters: Legacy è strutturato come si trattasse di una caccia al tesoro, un’eredità di cui il destinatario ancora non è a conoscenza. In questa ricerca sono fondamentali i valori dell’amicizia e della famiglia, sui quali si punta moltissimo fino a dare al film quel sapore spielberghiano tipico di certi prodotti per ragazzi degli anni ’80. Se l’amicizia che legava i ghostbusters classici qui sembra essersi dissolta a causa del tempo e di incomprensioni legate agli affari, è l’amicizia dei “nuovi ghostbusters” a creare un collante con il passato, un’amicizia che vediamo nascere minuto dopo minuto, rinforzata dall’avventura che i ragazzi stanno intraprendendo. È un coming-of-age classico sotto certi aspetti quello che affrontano Phoebe e Trevor, ma anche la grande celebrazione della fantasia, del sense of wonder che sembra appartenere ai ragazzini e a quegli adulti nostalgici e mai troppo cresciuti, categoria a cui appartiene il prof. Grooberson interpretato con brillantezza da Paul Rudd.

Ghostbusters Legacy

Ghosbusters: Legacy gioca proprio con quel costante senso di meraviglia, costruendo lentamente una grande storia di formazione che individua nell’istituzione famigliare un punto saldo che va (ri)scoperto, come insegna la grande tradizione di quel cinema fantastico per famiglie di cui si diceva su. Callie, interpretata da Carrie Coon, non ha mai avuto un buon rapporto con suo padre Egon che l’ha praticamente abbandonata da bambina per fare una vita da eremita e dedicarsi alle sue strambe passioni. La morte del padre non tocca minimamente i sentimenti di Callie, che anzi prende la notizia cinicamente solo come un’occasione per intascare un’eredità, così come i suoi figli e nipoti di Egon, per i quali il nonno era praticamente un estraneo. Per tutti loro, la casa di Egon e l’avventura che stanno per affrontare è soprattutto un modo per conoscere e, in casi voler bene, a una persona scomparsa di cui si sapeva poco e male, un modo per scoprire le proprie radici e guadagnare un concetto di famiglia ben diverso da quello che si possedeva.

Poi, ovviamente, Ghostbusters: Legacy porta in scena il soprannaturale, mostri/demoni/fantasmi: qualcuno lo conosciamo già, qualcun’altro è inedito ma ricorda palesemente una vecchia conoscenza, ma ci sono anche nuove forme per vecchie minacce, come i mini-marshmallow men della Stay Puff, e compare perfino Bug-Eye, il fantasma dei giocattoli anni ‘80 della Kenner, vera chicca per il pubblico più attempato.

Le citazioni, i rimandi e gli omaggi al film del 1984 sono numerose al punto tale che il terzo atto del film ricalca per alcune soluzioni diverse parti della struttura narrativa del primo film, ma Ghostbusters: Legacy ha comunque una sua specifica identità, un’idea forte alla base, che trova il suo punto di forza della magnifica McKenna Grace, che abbiamo già visto in Captain Marvel, Tonya e Annabelle 3, qui nei panni di Phoebe Spengler, introversa secchiona con la passione per la scienza che si mostra come degna nipote di suo nonno, che imita perfettamente anche nel tono di voce (ma questo dettaglio si perde nella versione doppiata in italiano). Il trucco è tutto lì, in quella bambina di 12 anni che è la copia perfetta dell’iconico acchiappafantasmi, è il link che lega fortemente due generazioni, è l’eredità di un film meraviglioso che vive e continuerà a vivere nel cuore di miliardi di fan, ragazzini di oggi, di ieri e, ci auguriamo, di domani.

Ghostbusters: Legacy è un film meraviglioso, realizzato da chi sa cosa vuol dire fare cinema, lasciare a bocca aperta il pubblico, divertirlo, appassionarlo fino all’ultimo fotogramma (non alzatevi dalla poltrona, ci sono ben due scene post credits!) e salutarlo con gli occhi in lacrime.

Ve lo avevo detto che questa non sarebbe stata una recensione obiettiva!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Appassionante, divertente e commovente.
  • McKenna Grace è bravissima.
  • È un accorato omaggio al film del 1984.
  • Mai come in questo caso, i difetti sono negli occhi di chi guarda.
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