Orphan, la recensione

John e Kate Coleman, genitori di due bambini e con una terza gravidanza purtroppo non portata a termine, decidono di adottare una bambina e la scelta cade su Esther. La nuova arrivata in casa Coleman si mostra subito gentile ed educata, oltre che particolarmente predisposta per l’arte, anche se lo strano modo di vestirsi e la timidezza la rendono subito oggetto di scherno da parte dei suoi coetanei, oltre che antipatica agli occhi del fratello Daniel. Ma con il passare dei giorni Esther si mostra sempre più strana e dai comportamenti ambigui, ad accorgersene è soprattutto la madre Kate che, malgrado il marito non sia d’accordo, comincia a indagare sul passato della bambina.

Accompagnato da una corposa polemica da parte delle associazioni pro-adozione, che si lamentavano del fatto che il film potrebbe infondere paure riguardo l’adottare bambini, Orphan (2009) porta il marchio Dark Castle, che fino a una decina di anni fa si era contraddistinta come una delle più interessanti compagnie di produzione del panorama horror americano.

Orphan

Orphan ha un merito non trascurabile: ha preso del materiale trito e ritrito come l’apologo sull’infanzia deviata nella moderna famiglia disfunzionale e l’ha tirato a lucido introducendo varianti di considerevole originalità. Il risultato è un affascinante ibrido tra l’horror-drammatico sull’infanzia turbolenta, che pesca senza dubbio da Mickey (1992), L’innocenza del diavolo (1993) e il più recente Joshua (2007), e lo psico-thriller che va a cavallo tra il Polanski d’annata e lo slasher anni ’80. Uno strano miscuglio di cui è difficile rendersi conto senza aver visionato l’opera ma che, vi assicuro, è del tutto riuscito e funzionale.

Lo spagnolo Jaume Collet-Serra, alla seconda collaborazione con la Dark Castle dopo l’ottimo La maschera di cera (2005) e prima di specializzarsi in action/thriller con Liam Neeson (Unknown, Non-Stop, L’uomo sul treno), riesce a gestire con grande maestria un film che in mano ad altri sarebbe potuto risultare troppo lungo (125 minuti), ma che invece appare teso e coinvolgente grazie all’ottimo dosaggio di scene introspettive con altre esplicative e altre ancora di grande suspense.

Orphan

Se è vero che a volte si gioca con il ricorso al facile spavento dato da improvvise apparizioni e jumpscare (c’è anche il famigerato “gioco” con lo specchietto del bagno!), in Orphan c’è comunque una sapiente e imprevedibile costruzione della tensione narrativa: da un crescendo di eventi apparentemente orientati verso una determinata conclusione, si sfocia in risvolti realmente originali e inaspettati. Lo stesso lungo climax finale è costruito con efficace concessione al classico clima tensivo, di quelli che si vivono tutti d’un fiato e che non mancano di tenere continuamente sulle spine lo spettatore.

Orphan si avvale di una bella sceneggiatura dell’esordiente David Leslie Johnson (The Conjuring – Il canso Enfield), uno script ordinato in cui ogni elemento/evento è cadenzato con le giuste tempistiche e i personaggi sono finalmente trattati con rispetto e approfondimento. Avremo dunque l’intera attenzione catalizzata sui membri della famiglia Coleman, il classico focolaio domestico della middle/upper class americana che dietro un velo di normalità nasconde i classici scheletri nell’armadio che, una volta tanto, non emergono come colpo di scena, bensì vengono introdotti con naturalità quando ce n’è realmente bisogno per accompagnare il lento disfacimento della felicità iniziale.

Orphan

A dar corpo ai protagonisti ci sono attori con i volti perfetti per i personaggi che interpretano. Vera Farmiga (The Conjuring, Godzilla II: King of the Monsters) e Peter Sarsgaad (I Magnifici 7, Jackie) interpretano i coniugi Coleman, Jimmy Bennett (Comic Movie, Amityville Horror) e l’esordiente Aryana Engineer sono i due figli e Isabelle Fuhrman (Hunger Games, Cell) è Esther. In particolare Vera Farmiga e Isabelle Fuhrman danno un’ottima prova: intensa e “fisica” la bella attrice che interpreta mamma Kate, riuscita e inquietante nella sua ambiguità la giovane Fuhrman.

Molto buono anche il reparto “gore”, relegato solo in poche scene ma per questo ancora più efficace. Già l’incipit onirico-ospedaliero ha un sapore semi splatter che riesce a far correre un brivido su per la schiena, ma l’apice è dato dalla cruda (e crudele) morte a martellate che divide a metà il secondo atto, una scena di rara cattiveria che difficilmente si tende a dimenticare.

Orphan

Orphan è un ottimo prodotto, un film di quelli che si va a vedere pensando di assistere ad uno spettacolo già visto ma che alla fine si rivela una imprevedibile sorpresa. È già un piccolo classico.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Originale e imprevedibile.
  • Ottima gestione della tensione.
  • Bravi attori.
  • Una prima parte che sa di già visto.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Orphan, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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