Rodeo, la recensione

Julia è una ragazza senza famiglia, senza regole e perciò senza un posto nel mondo. Ama la velocità, ama il pericolo e solo l’adrenalina sembra riuscire a darle un’iniezione di vita. Il suo hobby preferito è mettere in piedi truffe a discapito di incauti venditori di motociclette, piccole truffe, forse anche innocenti, ma che permettono alla ragazza di sentirsi viva mentre sfreccia sull’asfalto rovente. L’unico vero sogno di Julia, tuttavia, è quello di correre sul circuito dei riders e diventare una campionessa di cross bitume, una pratica ai margini della legalità e che prevede pericolose acrobazie su un lungo tratto d’asfalto, impennando la moto e tenendola in equilibrio sulla sola ruota posteriore.

Julia si sente una rider ma sa che quel mondo, quasi esclusivamente ad appannaggio maschile, non è disposto a lasciarle una via d’accesso. Buttandosi con prepotenza sull’asfalto, per dimostrare tutto il suo coraggio e la sua sfrontatezza, Julia riesce a conquistare il rispetto di una nuova “famiglia”: un gruppo di riders spiantati che vivono in un’officina clandestina ai margini di una banlieue parigina. Julia ha finalmente trovato un suo posto nel mondo, lo ha trovato all’interno di un microcosmo fatto di testosterone, adrenalina e benzina. Ma adesso che può considerarsi ufficialmente una rider la posta in gioco si deve alzare. È arrivato il momento di applicare tutto quel talento sulle due ruote per portare a segno dei veri e propri furti su strada.

Presentato in concorso al Festival di Torino 2022, dove il film si è aggiudicato ben due riconoscimenti importanti (miglior attrice e il premio speciale della giuria), Rodeo è il debutto sul grande schermo della giovane Lola Quivoron, classe 1989, laureata in lettere moderne e poi ammessa alla prestigiosa Fémis, nel dipartimento cinema. La Quivoron ha iniziato presto a sporcarsi le mani con cortometraggi audaci, dall’indole selvaggia e aggressiva, riuscendo subito a farsi notare sia con il corto Fils du Loup (premiato al festival di Locarno nella sezione “Pardi di domani – Concorso Internazionale”) che con il suo cortometraggio di diploma Au Loin, Baltimore, del quale Rodeo può essere considerato senza difficoltà un’estensione per il grande schermo.

Non prendiamoci troppo in giro e affermiamo tutti quanti in coro che, con buona pace per quella fetta di detrattori, Titane di Julia Ducournau è stato davvero uno dei film più rivoluzionari e progressisti degli ultimi decenni. Già con Raw, ma soprattutto con il bellissimo Titane, la Ducournau ha portato all’attenzione dei più un nuovo modo di fare cinema. Un nuovo modo di approcciare il racconto cinematografico. E non ci riferiamo solamente ad un mero discorso narrativo, il body-horror non lo ha certo inventato lei, ma proprio ad una grammatica stilistica e contenutistica che fino a qualche anno fa era davvero solo ad appannaggio di certo cinema maschile.

Con quel film che nel 2021 ha vinto la Palma d’Oro a Cannes, dando respiro anche ad un’ormai nota polemica d’invidia da parte di Nanni Moretti, Julia Ducournau è riuscita a creare quello che possiamo considerare il vero film-manifesto del cinema femminista contemporaneo. Con Titane, la Ducournau è riuscita nell’impresa di riscrivere la figura della Donna al cinema, calandola davvero nel mondo di oggi (o del futuro) e facendola aderire a nuove regole socio-culturali. In un sistema cinematografico che decanta – spesso con falsità – la parità di genere, Julia Ducournau crea un film che gioca proprio con questa parità. Un film in cui il femminile si fonde con il maschile, in cui le attrazioni sessuali diventando sempre più confuse e ambigue, in cui lo spettatore viene lentamente condotto a smarrire l’identità di genere dei protagonisti sullo schermo. Un discorso davvero fluido, ma fatto con intelligenza e votato al fantastico, in cui vengono applicati i codici del cinema di genere e non quelli del film ad impegno sociale.

Era inevitabile che la Ducournau dettasse nuove regole e che divenisse un nuovo punto di riferimento per tutti, ma in modo particolare per le giovani registe.

Con Rodeo, nonostante le mille differenze del caso, Lola Quivoron cammina proprio su quel sentiero tracciato dalla Ducournau e, nonostante Rodeo si presenti sin da subito come un film fortemente ancorato al realismo – si potrebbe parlare di neorealismo francese – è impossibile pensare che l’insegnamento di Julia Ducournau non abbia lavorato sull’immaginario della Quivoron.

Non ci sono vezzi fantasy in Rodeo, ad eccezione di un guizzo stilistico piazzato proprio nella sequenza finale del film, e la storia che Lola Quivoron ci narra è un puro e schietto racconto di formazione calato nelle periferie francesi, nelle così dette banlieue. Una storia che ci parla dunque di malavita, di degrado, di perdizione morale e della forsennata ricerca di una “famiglia” d’appartenenza. Per tantissimi aspetti, ma proprio tanti, Rodeo sembra essere una versione d’autore e traslata al femminile del primo Fast and Furious diretto da Rob Cohen.

E dunque in cosa si può scorgere l’insegnamento della Ducournau?

Semplice. Nel modo di guardare e raccontare la Donna. Abbattere qualunque luogo comune applicato al genere, demolire quella linea immaginaria che da sempre ha tenuto ben distinti i caratteri maschili da quelli femminili, così da creare un nuovo tipo di eroina.

È proprio qui, infatti, che si può evincere il vero punto di forza di Rodeo, nella sua protagonista. Julie Ledru è un’attrice che davvero buca lo schermo, il suo volto è Cinema allo stato puro ed è capace di reggere i primi e primissimi piani come pochi altri attori dell’epoca moderna riescono a fare. E di questo Lola Quivoron ne è perfettamente consapevole, perché pensa bene di far girare tutto il film attorno alla performance e alla fisicità della Ledru.

Grazie ad un ottimo lavoro di squadra, una sinergia perfetta tra regia e interpretazione, Lola Quivron e Julie Ledru abbattono la femminilità così come è stata intesa dal cinema per tanto, forse troppo tempo. Julie Ledru interpreta con convinzione e profondo realismo una protagonista respingente che non fa mai nulla per piacere, né caratterialmente e né fisicamente. Eppure riesce ad essere incredibilmente seducente e ammaliante.

Quel binomio sessista tra donne & motori, attorno al quale già la Ducournau aveva sapientemente ironizzato nel primo atto di Titane, qui viene completamente demolito. La Julia di Rodeo impone sullo schermo un nuovo modello femminile con cui entrare in empatia, una protagonista che riesce a restituire sullo schermo un carattere che fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile da affibbiare ad una donna e da porre al centro di un racconto cinematografico di questo tipo. È un personaggio vero, autentico, capace di essere ultra-femminile pur ripudiando di continuo la sua femminilità.

Dunque, il valore primario di Rodeo può lasciarsi evincere proprio dall’importante discorso, mai ipocrita, che viene condotto proprio nei confronti di una femminilità al cinema che cerca e trova riscatto. E in questo discorso, sposato da tutti ma in modo spesso blando e banale, la Francia sembra essere il Paese che meglio di ogni altro sta riuscendo a restituire un’immagine davvero moderna e priva di stereotipi nei confronti delle donne.

Peccato però che non tutto riesce a funzionare come dovrebbe in Rodeo e, ad ostacolare la piena riuscita del film, ci pensa proprio l’inesperienza della regista che qui mostra tutti i limiti di cui può avvalersi un’opera prima di questo tipo.

Lola Quivoron dirige il film in modo rabbioso, quasi insolente, facendosi guidare spesso dall’istinto anziché dalla logica. E questa cosa, se da una parte può essere vista come un bene poiché genera un’opera onesta e genuina, dall’altra conduce verso un prodotto finito assai sbilanciato. Dopo un primo atto di presentazione assolutamente folgorante e animalesco, Rodeo si adagia su una narrazione più standardizzata in cui i problemi legati al disagio di periferia sembrano avere la meglio su quel mondo pazzo, sregolato e selvaggio fatto di motori, pistoni e benzina.

Rodeo parte come un film roboante, scorretto e respingente, per poi mutare lentamente nella direzione di un dramma più convenzionale di periferia, a tratti anche un po’ noioso, il cui focus principale è rappresentato da reietti che cercano una loro dimensione nel mondo. Un film narrativamente sbilanciato, che di tanto in tanto cade vittima anche di una regia isterica e claustrofobica (macchina da presa sempre a mano, sempre in movimento, sempre sui volti dei protagonisti) che rende poco comprensibili le poche sequenze d’azione previste dal film.

Dunque, Rodeo è un film che, in questo tempo di cambiamenti socio-culturali in cui si sta ridefinendo il ruolo della donna, si porta dietro una notevole e indiscutibile importanza. Ma, al tempo stesso, è anche un film cinematograficamente acerbo che però lascia intuire le enormi potenzialità dell’autrice. Lola Quivoron, infatti, ha solo bisogno di mettere bene a fuoco la sua vena autoriale e perciò siamo molto curiosi di vedere in che direzione andrà la sua opera seconda.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un film che, di questi tempi, riesce ad essere davvero importante nel ridefinire un certo immaginario della donna al cinema.
  • Julie Ledru è una protagonista eccezionale, ipnotica e magnetica.
  • Una narrazione poco equilibrata, che alterna un primo tempo folgorante ad una seconda parte più convenzionale ed anche un po’ noiosa.
  • Una regia così nervosa da rendere poco chiara la comprensione delle scene più concitate.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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