Archivio categorie: Recensioni

La figlia del bosco, la recensione

Nonostante non sia più un genere particolarmente sfruttato in Italia, ogni tanto l’horror nostrano si riaffaccia timidamente nelle sale o sulle piattaforme streaming. Alcuni prodotti sono molto riusciti, altri decisamente meno, ma è sempre bello vedere film di genere realizzati nel nostro paese, un tempo grande esponente di quel cinema fantastico che oggi si fa sempre più fatica a produrre.

È il caso de La Figlia del Bosco, film scritto e diretto dall’esordiente Mattia Riccio, approdato su Amazon Prime Video e altre piattaforme. Una pellicola passata un po’ in sordina ma che merita un’occhiata da parte degli appassionati.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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L’Eternauta: quando la qualità arriva nel momento sbagliato

In questo superbo e osannato quarto di secolo, nonostante la sconfinata disponibilità di informazioni, solo una ridicola percentuale ha avuto il privilegio di conoscere a suo tempo L’Eternauta, fumetto scritto da Héctor Germán Oesterheld e disegnato da Francisco Solano López. Mettendo da parte la storia personale, e anche troppo pubblicamente sponsorizzata, dell’ideatore del fumetto – ovvero un martire politico, insieme a tutta la sua famiglia – non possiamo non rendere omaggio alla sua opera con un’analisi più onesta che mai.

L’Eternauta è un graphic novel che fece la sua prima comparsa il 29 settembre 1957 sulla rivista Hora Cero Semanal dell ‘editore Editorial Frontera, e che in pochissimo tempo riuscì a farsi riconoscere come capolavoro in mezzo alla sconfinata e notevole produzione statunitense, franco-belga, italiana e nipponica. Così, dopo aver navigato per anni nei sogni e nei cuori degli appassionati di tutto il mondo, finalmente, la sua incarnazione seriale, è approdata nel catalogo Netflix lo scorso 30 aprile, con la regia di Bruno Stagnaro e la sceneggiatura di Ariel Staltari.

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The Legend of Ochi, la recensione

È paradossale e bellissimo che nel 2025, epoca caratterizzata dall’intelligenza artificiale e da progressi scientifici e tecnologici vicini alla fantascienza di un tempo, il cinema stia ritrovando il fascino dell’analogico. Sono sempre di più, infatti, i film che si affidano all’effetto speciale pratico, alla pellicola, ridimensionando e rendendo invisibile ogni procedimento digitale. C’è stato un momento, infatti, in cui la CGI sembrava destinata a sostituire completamente ogni processo produttivo e creativo nell’effettistica: da Matrix in poi l’effetto visivo era destinato a una rivoluzione irreversibile. Invece, con una certa sorpresa, stiamo notando un ritorno al cinema di pupazzi e figure animatroniche, di “costumoni”, passo uno e protesi. E The Legend of Ochi di Isaiah Saxon è proprio la sublimazione di questo ritorno alle origini dell’effettistica nel cinema fantastico.    

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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Flight Risk – Trappola ad alta quota, la recensione

Mel Gibson ha una carriera da regista decisamente interessante, forse più interessante di quella da attore. Perché in sei film diretti nell’arco di trentadue anni, Gibson ha spaziato in diversi generi e non ha avuto paura di rischiare, a tratti tantissimo. Facile pensare a La Passione di Cristo e Apocalypto, recitati in lingue arcaiche, il secondo da attori non professionisti ed entrambi intrisi di una violenza davvero estrema. Ma se in quei casi il rischio è tangibile fin dal pitch che ha anticipato la produzione di ciascuna opera, nel più recente film da regista di Mel Gibson, Flight Risk – Trappola ad alta quota, il rischio sta nel mettersi in gioco come autore abbracciando l’ottica del b-movie minimale, come se si trattasse di un nuovo inizio.

Sicuramente la strada che ha portato Gibson ad accettare un progetto come questo non è dettata tanto da esigenze artistiche quanto dal momento difficile che sta attraversando, messo ai margini per le idee politiche non in linea con il mainstream di Hollywood e per i problemi personali con l’alcolismo che lo hanno portato anche all’arresto per guida in stato di ebbrezza. Flight Risk, dunque, suona come una risalita, un rimettersi in gioco; ma anche in una produzione così piccola si intravede il grande mestiere di chi il cinema hollywoodiano ha contribuito a farlo crescere.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Colpi d’amore, la recensione

Marvin Gable è un agente immobiliare nei sobborghi di Milwaukee, dove i cartelli “Vendesi” sono più numerosi delle case stesse. La sua vita sembra monotona e tranquilla, ma nasconde un passato oscuro. Quando riceve una misteriosa busta rossa da Rose, una sua ex complice che credeva morta, Marvin viene risucchiato nuovamente in un mondo di sicari spietati, doppi giochi e combattimenti all’ultimo sangue. Un boss del crimine, infatti, è sulle sue tracce e l’agente immobiliare dovrà confrontarsi con un passato mai sepolto, ora tornato a perseguitarlo.

Colpi d’Amore (in originale Love Hurts) è un film che mescola abilmente azione e commedia, offrendo una narrazione adrenalinica e coinvolgente. Diretto da Jonathan Eusebio, noto per il suo lavoro come coordinatore di stunt in film come John Wick e The Avengers, il film segna il suo debutto alla regia. La sceneggiatura, firmata da Matthew Murray, Josh Stoddard e Luke Passmore, costruisce una storia che alterna momenti di tensione a sequenze di puro intrattenimento.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Werewolves, la recensione

Se fino a poco tempo fa siamo stati invasi da un ritorno cinematografico agli anni ’80, con storie, franchise e personaggi ripresi direttamente da quel mitizzato ed iconico decennio fatto di luci e ombre, coerentemente adesso si sta procedendo verso una voglia nel rimestare gli anni ’90. Qua e là abbiamo già avuto lampanti esempi di ritorno a quel decennio, soprattutto per la voglia di rievocarlo con storie ambientate a fine secolo scorso, ma con un film come Werewolves si fa di più e si va a cogliere – consapevolmente o meno – proprio “l’esprit du temp”. Quello diretto da Steven C. Miller si presenta, così, come un horror fieramente anni ’90, nel bene e nel male, un B-movie che antepone l’azione analogica a tutto il resto.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Elizabeth Harvest, la recensione

Elizabeth (Abbey Lee), giovane e affascinante, sposa Henry (Ciarán Hinds), un brillante scienziato. Dopo il matrimonio, si trasferisce con lui in una lussuosa villa isolata. Henry le concede ogni libertà, tranne l’accesso a una stanza segreta. Spinta dalla curiosità, Elizabeth entra nella stanza proibita e scopre una verità sconvolgente: ciò che troverà dietro la porta proibita cambierà tutto ciò che credeva di sapere su se stessa e sul suo rapporto con Henry.

Elizabeth Harvest (2018) di Sebastián Gutiérrez si sviluppa come un lento gioco di svelamenti, dove ogni scena aggiunge pezzi al puzzle, mantenendo costante la sensazione di mistero e pericolo imminente. La trama, pur non essendo particolarmente complessa, è costruita con una cura estetica e narrativa che cattura l’attenzione dello spettatore. Gutiérrez gioca con il concetto di segreti nascosti e con la scoperta di verità sconvolgenti che mettono in discussione l’identità e il libero arbitrio.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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1485kHz (Se otto ore), la recensione del film horror di denuncia sociale

In un’epoca cinematografica in cui l’horror sembra spesso ridursi a formule ripetitive e spaventi facili, 1485KHz (Se otto ore) di Michele Pastrello emerge come un’opera coraggiosa e originale. Questo cortometraggio, infatti, non solo si ancora a suggestioni soprannaturali adottando il linguaggio della ghost-story, ma lo intreccia con una riflessione profonda sulla condizione del lavoratore precario, utilizzando il genere come strumento di denuncia sociale. Non è un caso, infatti, se 1485KHz (Se otto ore) arriva al pubblico proprio il 1° maggio, data simbolo in Italia per il mondo del lavoro, esordendo in streaming VOD su due piattaforme indipendenti, Reveel e Altavod, coerentemente lontane dalle logiche delle grandi major.

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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Black Bag – Doppio gioco, la recensione

In gergo spionistico, una “black bag operation” indica un’azione segreta, solitamente illegale o non autorizzata ufficialmente, comunemente un’effrazione, un’intercettazione o un furto di documenti sensibili. Steven Soderbergh carpisce questo termine per farne il titolo del suo film, Black Bag – Doppio gioco, che in superficie è ovviamente una spy-story, ma a leggere tra le righe è una commedia che affronta la complessità della comunicazione all’interno di una coppia.

L’agente dei servizi segreti inglesi George Woodhouse viene contatto dal suo superiore per scoprire chi è la talpa che ha trafugato e sta cercando di vendere un software top-secret dal nome in codice Severus. Tra i cinque agenti del SIS sospettati c’è anche sua moglie Kathryn. Così, per smascherare il traditore e dopo aver dichiarato le sue intenzioni a Kathryn, George invita gli altri quattro a cena a casa sua: Clarissa, il suo compagno e superiore Freddie, la psichiatra dell’agenzia Joe e il suo fidanzato James, anche lui agente segreto. Ma quando il capo di George muore, stroncato da un attacco cardiaco molto sospetto, le certezze dell’uomo cominciano a vacillare sempre di più, soprattutto in relazione all’eventuale coinvolgimento di sua moglie, che ormai conosce la posta in gioco.

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Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Thunderbolts*, la recensione

Se ormai ben conoscete il modus operandi dei Marvel Studios per le loro incarnazioni cinematografiche dei comics (e se siete qui a leggere questa recensione sicuramente lo conoscete), i legami tra cinema e fumetti sono spesso molto labili. E Thunderbolts* forse è uno dei titoli che maggiormente si discosta dal pregresso fumettistico per una gran quantità di motivi.

Il team-up creato nel 1997 dalla penna di Kurt Busiek e le matite di Mark Bagley, infatti, era estremamente diverso da quello mostrato nel 36° lungometraggio del Marvel Cinematic Universe e non solo per la formazione ma anche per l’intento orientato verso un piano criminale “sotto mentite spoglie”. Nei quasi trent’anni in cui i Thunderbolts hanno popolato l’immaginario fumettistico abbiamo assistito a diversi cambi nella formazione del gruppo e un avvicinamento concreto all’idea di “team di antieroi con nobili fini”, ma resta il fatto che il film diretto da Jake Schreier è davvero altro in confronto a quanto letto sui fumetti Marvel.

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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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