Archivio categorie: Recensioni

La Terra Promessa, la recensione

Nella Danimarca del 1755 il capitano Ludvig Khalen (Mads Mikkelsen), reduce di guerra di umili origini, cerca riscatto tentando di “domare” il selvaggio e, apparentemente, incoltivabile terreno della brughiera danese, per costruirvi sopra una colonia in nome del Re ed ottenere così in riconoscimento il tanto agognato titolo nobiliare.

L’ambizione di Khalen, convinto di riuscire dove molti prima di lui hanno fallito, si scontra con la volontà del crudele signore del luogo Frederik De Schinkel (Simon Bennebjerg), intenzionato a mantenere l’assoluto controllo delle sue terre a qualsiasi costo.

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Kina e Yuk alla scoperta del mondo, la recensione

Siamo nel Grande Nord. Kina e Yuk sono due innamorati. Lei ha il pelo bianco, è incinta e sta per partorire; lui è color cenere, molto più robusto di lei, e trascorre le sue giornate a procacciare il cibo per sé e per la sua compagna in quegli aspri e innevati territori dello Yukon canadese. Kina e Yuk sono due volpi artiche inseparabili e il Grande Nord è la loro casa. A causa della pressione antropica e del surriscaldamento globale, tuttavia, l’habitat di Kina e Yuk sta subendo delle trasformazioni repentine. Un giorno, durante un quotidiano girovagare, la lastra di ghiaccio sotto le zampe dei due compagni si spezza e Yuk resta imprigionato su un blocco di ghiaccio che pian piano viene spinto dalla corrente oceanica verso il largo. Yuk non può più tornare indietro e le due volpi artiche sono destinate a separarsi.

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Los Colonos, la recensione

Terra del fuoco, confine tra Cile e Argentina. Siamo nel 1901 e il ricco possidente terriero José Menéndez, soprannominato “Re dell’oro bianco”, ha una proprietà che si estende per molti chilometri e che utilizza per lo più per i suoi allevamenti di pecore. L’imprenditore affida al suo scagnozzo MacLennan, ex soldato scozzese, la missione di trovare una via che conduca agilmente verso l’Oceano Atlantico e per quest’avventura porterà con sé il mercenario americano Bill e il meticcio Segundo, che è noto per la sua mira infallibile. Sulla carta, il loro viaggio è solo di esplorazione e ricognizione, in pratica i tre dovranno trovare un modo per eliminare gli indigeni che popolano la pampa e che intralciano le mire espansionistiche di Menéndez.

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Drive-Away Dolls, la recensione

Siamo nel 1999, c’è una valigetta misteriosa, dei killer prezzolati pronti ad impossessarsene, personaggi grotteschi ad ogni angolo e un paio di eroi(ne) – che di eroico hanno ben poco – coinvolte loro malgrado in una serie di eventi paradossali. Praticamente tutto lo scibile del pulp è presente in Drive-Away Dolls, compresa una collocazione temporale che rimanda immediatamente proprio al decennio di maggior fortuna cinematografica per il genere. A firmare questo pamphlet, che potremmo definire pulp for dummies, è Ethan Coen, che insieme al fratello Joel ha contribuito in maniera fondamentale e indelebile a costruire il mito delle storie crime più divertenti, paradossali e sanguigne. Ma, purtroppo, Drive-Away Dolls è un disastro sotto tutti i punti di vista, una copia sbiadita e goffa proprio di quelle opere che hanno fatto salire il cognome Coen nell’Olimpo dei grandi del Cinema.

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Un altro ferragosto, la recensione del sequel di Ferie d’agosto

Era il 1996 quando usciva nei cinema italiani Ferie d’agosto, l’opera seconda di Paolo Virzì, quella che l’ha consacrato come nuova voce della commedia all’italiana. Sono passati ben 28 anni da quel film, 28 lunghi anni durante i quali certo cinema italiano e l’Italia nel suo fervore politico e sociale non sembrano cambiati neanche di un giorno. Infatti, lo stesso Virzì, supportato dallo sceneggiatore di allora Francesco Bruni, a cui si aggiunge anche la collaborazione di suo fratello Carlo Virzì, si getta a capofitto in un sequel di quel Ferie d’agosto che riporta in scena tutto il cast di quasi 30 anni fa, con importanti aggiunte e tristi mancanze (Ennio Fantastichini e Piero Natoli). E Un altro ferragosto, incredibilmente, funziona oggi quasi quanto funzionava negli anni ’90 proprio per un inquietante immobilismo nello scenario politico, sociale e cinematografico in cui l’Italia versa. E questo fa riflettere.

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La sala professori, la recensione

“Ǫuello che succede nella sala professori, rimane nella sala professori!”

Puoi studiare quanto vuoi, ma per diventare un bravo insegnante devi imparare facendo. E mettendoci la faccia.

Carla Nowak (Leonie Benesch) sembrerebbe averlo capito bene, trasferitasi da poco dalla Polonia in Germania, insegna matematica ad una classe di seconda media. Nonostante si approcci ai propri studenti con rispetto, attenzione e delicatezza si renderà conto che, pur essendo una professoressa fantastica, insegnare e soprattutto mantenere la fiducia dei propri alunni è estremamente difficile.

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Dune – Parte Due, la recensione

“Qualsiasi strada, se seguita fino alla fine, non conduce da nessuna parte. Arrampicati solo un poco sulla montagna, per vedere se è una montagna. Dalla cima, non potresti vedere se è davvero una montagna.”

(antico proverbio Bene Gesserit)

Accompagnato da un consistente stuolo di giustificatissime reaction entusiastiche, arriva nei cinema italiani dal 28 febbraio Dune – Parte Due, che conclude l’adattamento del primo dei sei romanzi di Frank Herbert dedicati al pianta dove si estrae la Spezia Melange. Ma come fa notare il succitato proverbio delle Bene Gesserit, Dune – Parte Due è solo una piccola porzione della montagna, quella che ci fa rendere conto della spettacolarità di questo progetto, un secondo capitolo che seppur trasmetta un’appagante sensazione di chiusura, allo stesso tempo è solo una parte di un racconto molto più grande.

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Emma e il giaguaro nero, la recensione

Emma (in originale un più evocativo Autumn) è un’adolescente dal carattere difficile. La sua indole ribelle, tuttavia, può essere facilmente giustificata da un’infanzia dura che le ha lasciato più di qualche cicatrice addosso. Cresciuta con due genitori ambientalisti in un piccolo villaggio dell’Amazzonia, la vita della piccola è drasticamente cambiata con la prematura morte della madre. Dopo il triste evento, infatti, Emma si è vista costretta a lasciare quei luoghi selvaggi e incantevoli per trasferirsi con il padre a New York per iniziare una nuova vita più agiata e sicura. Ma vivere all’interno di una chiassosa metropoli quando si è nati e cresciuti nell’incontaminato “polmone verde” del Mondo è davvero dura. Tuttavia, ciò che sembra mancare ad Emma più di ogni altra cosa è Hope, un bellissimo cucciolo di giaguaro nero con cui giocava sempre quando era bambina e c’era ancora sua madre. Un giorno, per puro caso, la giovane Emma viene a sapere che il villaggio in cui è cresciuta è stato scosso dall’arrivo di alcuni pericolosi bracconieri che stanno decimando la fauna locale. Temendo per la vita di Hope, Emma scappa di casa e intraprende uno spericolato viaggio da New York fino all’Amazzonia. In questa rocambolesca avventura, Emma sarà seguita/accompagnata da Anja, la sua sbadata professoressa di biologia che le tenta tutte per convincere Emma a tornare a casa.

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The Cage – Nella gabbia, la recensione

La tradizione su cui si poggia l’ormai consistente mole di film sullo sport ci ha insegnato che c’è sempre una volontà di riscatto alla base di un dramma sportivo, con una rivincita capace di motivare i personaggi e muovere ogni evento. Non fa eccezione The Cage – Nella gabbia di Massimiliano Zanin, una carriera passata al fianco di Tinto Brass come sceneggiatore e assistente alla regia e qui al suo primo lungometraggio di finzione, dopo i fondamentali documentari Istintobrass e Inferno rosso – Joe D’Amato sulla via dell’eccesso.

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La zona d’interesse, la recensione

Rudolf Höss vive con la famiglia all’interno della sua villetta da sogno. Le sue giornate scorrono lente, in parte tutte uguali, a volte si concede una battuta di pesca con i suoi figli mentre la moglie Hedwing trascorre il suo tempo a curare l’orto e il giardino. Spesso, durante i pomeriggi assolati, Rudolf e la moglie organizzano festicciole con amici per sfruttare la piccola ma bella piscina che hanno in casa. Una routine molto borghese, tranquilla e agiata, in cui c’è solo un piccolissimo dettaglio a modificare ogni cosa: subito fuori la villetta, separato solo da un muro, c’è il campo di concentramento di Auschwitz di cui Rudolf è direttore.

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