Heretic, la recensione

Secondo una stima, nel mondo ci sono più di diecimila tra religioni, credi e gruppi religiosi riconosciuti; di questi, in base al numero di aderenti, risaltano come maggiori religioni una decina che contano tra i 2 miliardi e mezzo e 15 milioni di aderenti. Ognuno di questi credi (a parte alcune eccezioni che proclamano il pluralismo religioso) si autoproclama come quello “originale”, che detiene la “verità” e adora le divinità “autentiche”.  Dati che, con tutte le semplificazioni del caso, lasciano ben pochi margini di interpretazione sulla funzione della religione per l’uomo, da un punto di vista laico, ma che è allo stesso tempo la più grande contraddizione che il pensiero evoluto umano abbia conservato.

Il Signor Reed sarebbe felice di discutere con tutti noi di religione. Il Signor Reed ha molte sagaci argomentazioni e una particolare predisposizione per l’esemplificazione pop.

Chi è il Signor Reed? Già, dimenticavo.

Mr. Reed è il carismatico inquilino della villetta in fondo al viale. Un uomo sulla sessantina, capello grigio, cardigan a scacchi, occhiali da vista con montatura vintage e una passione per le crostate ai mirtilli.

Mr. Reed è il protagonista di Heretic, il nuovo horror della A24 scritto e diretto da Bryan Woods e Scott Beck, ovvero le menti dietro la saga di A Quiet Place e già registi del gustoso slasher Haunt – La casa del terrore e del fanta-action 65: Fuga dalla Terra.

Sorella Paxton e Sorella Barnes sono due missionarie della loro comunità, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Le due amiche e colleghe appena ventenni stanno finendo il turno e come ultima visita della giornata hanno schedulato l’incontro con il signor Reed, che ha chiesto personalmente un appuntamento. Le due giovani mormone bussano alla porta ed entrano in quella che sembra una fin troppo austera villetta, accolte dalla gentilezza del proprietario e dall’odore di crostata ai mirtilli, che la moglie del padrone di casa sta per sfornare. Con il signor Reed, Sorella Barnes e Sorella Paxton trovano finalmente una persona preparata al dialogo e disposta ad ascoltare, ma più passano i minuti più le due ragazze si sentono in soggezione: nonostante la richiesta di conoscerla, la signora Reed non si palesa, la crostata ai mirtilli non sembra essere mai pronta e la conoscenza di Mr. Reed sull’argomento teologico è alquanto sospetta…

Con Heretic siamo di fronte a un horror teorico, un film che si basa quasi totalmente sul dialogo e sul confronto di posizioni tra diversi personaggi. Un horror dall’impianto fortemente teatrale, tutto ambientato tra le quattro mura di una villetta, con (quasi) solo tre attori in scena per 110 minuti. Eppure, Heretic riesce a costruire in maniera magistrale la tensione in un crescendo psicologicamente sempre più aggressivo e grazie a un senso della claustrofobia sottile ma davvero efficace.

Scott Beck e Bryan Woods sono scuramente più a loro agio con la scrittura che dietro la macchina da presa ed Heretic è senza ombra di dubbio la conferma della loro penna brillante; ma con questo film notiamo anche una decisiva crescita nella gestione degli spazi scenici e nella direzione degli attori.

A colpire, in primis, è uno script incredibilmente coinvolgente nonostante sia quasi unicamente basato sul dialogo, con battute taglienti da parte di Mr. Reed e alcuni monologhi esplicativi ormai già cult, come la similitudine tra il gioco del Monopoli e la diffusione delle religioni nel tempo. La tensione è costruita proprio attraverso la parola perché mettere lo spettatore sullo stesso piano di conoscenza della due protagoniste fa si che l’arte affabulatoria del “villain” trascini lentamente verso l’ignoto, lasciando nel mistero il suo piano machiavellico finché la sceneggiatura ce lo svela progressivamente.

Il film di Beck e Woods mostra scoperto il fianco proprio quando deve confrontarsi con le motivazioni che muovono tutta la vicenda.

La prima metà di Heretic, con quell’ipnotico ragionare di religione, con l’oscuro piano di Mr. Reed e il mistero sull’architettura della sua dimora/trappola è sicuramente molto più efficace della seconda metà, quando i nodi vengono al pettine. Non possiamo parlare di banalità della soluzione perché, di fatto, il film tiene un tono coerente e lascia alcuni punti cruciali all’interpretazione dello spettatore chiedendo sempre uno sforzo che non sia la mera passività dello sguardo; ma è innegabile che quell’atmosfera claustrofobica e quel mistero abbiano un cedimento quando ci vengono spiegate le ragioni e svelato il fine ultimo del postulato alla base della vicenda.

Dicevamo dell’ottima gestione degli spazi interni e della riuscita anche registica del film. Heretic si basa anche sul concetto di spazio, inteso come luogo dal quale trovare un’uscita. La casa di Mr. Reed è letteralmente un labirinto, un edificio dall’architettura indecifrabile che si appoggia a una miniatura in legno per simularne come in un rompicapo i percorsi che portano all’uscita. Di fatto, noi vediamo durante tutto il film solo tre spazi: l’ingresso che simula la casa accogliente, la biblioteca che si apre sui due percorsi e il pozzo, ma capiamo che c’è molto di più sotto questa abitazione e i due autori sono riusciti a creare un’architettura immaginaria attorno a questo luogo spingendo tantissimo sul concetto di trappola, di meccanismo indecifrabile.

Ho lasciato per ultimo l’elemento più pregiato di tutto il film, la recitazione.

In un film come Heretic, così focalizzato sui pochi personaggi in scena e costruito attorno alla parola, se si sbagliano gli attori si può parlare di fallimento totale. Invece il casting perfetto ripaga in pieno la riuscita del film.

Innanzitutto, troviamo un gigantesco Hugh Grant nel ruolo del Signor Reed, un attore che negli anni si è costruito l’immagine del bravo ragazzo nelle rom-com di produzione britannica e che solo nel momento di reiventare la sua carriera ha ceduto anche ad abbracciare ruoli negativi. Ma mai negativi come in Heretic, dove interpreta un cattivo subdolo, intelligente, spietato e incredibilmente carismatico, come potrebbe essere un leader spirituale di quelli che lui vorrebbe mettere alla berlina. A fargli da contraltare abbiamo due bravissime “vittime”: Sophie Tatcher, che abbiamo visto di recente in Companion e The Boogeyman, e Chloe East che era in The Fabelmans di Spielberg. La prima più attenta ai dettagli, con un passato traumatico alle spalle quindi più incline alla resistenza verso minacce (psicologiche) esterne; la seconda più ingenua, una tavola bianca ancora da dipingere, la preda perfetta di un essere rapace e affamato come Mr. Reed.

Se cercate azione, spaventi a buon mercato e splatter (nonostante qualche scena sanguinolenta non manchi), Heretic non fa prettamente al caso vostro perché ci troviamo dinnanzi a un horror raffinato, un film che costruisce la tensione con il dialogo e la recitazione, che crea l’atmosfera giocando sulla sottrazione invece che sull’accumulo. L’esatto contraltare di un Terrifier. E la grandezza di un genere come l’horror è proprio che nella stessa epoca possano convivere ed eccellere sia un prodotto come Heretic che uno come Terrifier.

Heretic è nei cinema italiani dal 27 febbraio distribuito da Eagle Pictures.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • I tre attori in scena, ma soprattutto in gigantesco Hugh Grant.
  • I dialoghi pungenti e intelligenti.
  • La costruzione dell’atmosfera sia attraverso la parola che gli spazi.
  • Nella seconda metà, quando i nodi devono venire al pettine, il film perde di efficacia.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Heretic, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to Heretic, la recensione

  1. Fabio ha detto:

    Bel film, Hugh Grant davvero mostruoso!!!!!

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    Valutazione: 4.0/5 (su un totale di 1 voto)
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