Venezia 71. Supereroi in crisi esistenziale, la ricerca dell’urlo perfetto e il percorso autodistruttivo di un ragazzo
La 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è iniziata al grido dell’Uomo Uccello, Birdman. E’ stato infatti il film diretto da Alejandro González Iñárritu ad aprire l’edizione 2014 del prestigioso Festival del Cinema di Venezia e a sfilare sul red carpet sono intervenuti Michael Keaton, Edward Norton ed Emma Stone, protagonisti di questa particolarissima opera che riflette su Hollywood e sui danni (cerebrali) che può causare in coloro che ne rimangono “vittime”. Birdman (o le imprevedibili virtù dell’ignoranza), che vedremo presto anche nei cinema italiani distribuito da Fox, è stato protagonista della giornata inaugurale di ieri, 27 agosto, aprendo le danze ai film in concorso. E un pò stupisce che il film di Inàrritu sia in competizione perché ha il sapore di quell’opera prestigiosa e allo stesso tempo dal sapore indie, ma fin troppo commerciale per un festival come quello di Venezia. Ma è un film folgorante, primo eppure – a parere di chi scrive – probabilmente candidato ad essere tra i migliori della manifestazione.
Il film, che vanta una sceneggiatura scritta a otto mani dallo stesso Inàrritu e da Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris e Armando Bo, è una chiara “presa per i fondelli” all’odierna Hollywood dei super-eroi, che tra Avengers, Iron Man e Spider-man, sta creando fenomeni di costume e franchise milionari che arrivano a condizionare l’industria, il pubblico e la sanità mentale degli stessi interpreti. Almeno è quello che succede a Riggan Thomson, ex divo del cinema superomistico che negli anni ’90 ha interpretato per ben tre volte Birdman, super eroe alato e con maschera da rapace, che sa volare e ha facoltà telecinetiche. Riggan però è caduto nel classico vortice depressivo del divo che non è riuscito a rivendersi e, abbandonata la maschera da Uomo Uccello, non ha trovato una nuova giovinezza artistica. Allora per Riggan è arrivato il momento di tentare la carta del teatro con uno spettacolo sull’amore e la vendetta a Broadway. Tra comprimari capricciosi, una figlia alle calcagna, una temibile critica teatrale con il fiato sul collo e attricette che millantano di essere rimaste incinte, Riggan deve fare i conti innazitutto con il suo inconscio che ha la voce proprio di Birdman e gli ricorda come sia ormai un fallito, consigliandogli di ritentare per la quarta volta la carta del supereroe.
Birdman è un film riuscitissimo, un lucido, tenerissimo e allo stesso tempo feroce ritratto di quello che a Hollywood non funziona. Il tutto è sempre raccontato con ironia e con l’utilizzo di dialoghi brillanti e scritti magnificamente.
Se la scelta di Michael Keaton è beffardamente autobiografica, visto che l’ex Batman butoniano è un pò Riggan Thomson, il cast di comprimari non è da meno in quanto a efficacia. Edward Norton è lo “stronzo” perfetto, star di una certa fama ma capriccioso come pochi, impotente e allo stesso tempo perennemente pronto a corteggiare qualunque cosa abbia una vagina. A lui si affiancano Emma Stone, figlia di Riggan e pronta a prendersi cura del padre, Zach Galifianakis che è “avvocato-manager-migliore amico” di Riggan e Naomi Watts, co-protagonista dello spettacolo insiem ad Andrea Riseborough.
Divertente e commovente… e non sarebbe male vedere davvero un film su Birdman!
Nella sezione Orizzonti si sono visti invece oggi, 28 agosto, due film diametricalmente opposti: Reality di Quentin Dupieux e La vita oscena di Renato De Maria.
Se ricordate Rubber, l’opera prima dell’ex regista pubblicitario Quentin Dupieux, probabilmente sapete cosa aspettarvi perchè Reality è follia su celluloide. La trama è quasi impossibile da raccontare perchè si alternano, intrecciato e confondono le vicende di alcuni personaggi del mondo dello spettacolo. Un regista è impegnato a girare un film con una bambina che ha trovato un VHS nello stomaco di un cinghiale cacciato da suo padre, allo stesso tempo un conduttore di un programma culinario (che conduce vestito da topo!) ha problemi con un eczema di carattere psicosomatico che sta compromettendo la sua carriera, poi c’è un operatore che vuole esordire al cinema come regista con un film da lui scritto sui televisori che vogliono controllare la mente dei telespettaori e conquistare il mondo, ma il suo produttore vuole un “urlo perfetto”, altrimenti non gli finanzia il film. Realtà e finzione si confondono continuamente in un gioco in cui i personaggi si sdoppiano e contaminano diversi piani o popolano uno i sogni (e gli incubi) degli altri. Se all’inizio il film è semplicemente geniale, con alcuni dialoghi e alcune scenette realmente divertenti, poi, quando si capisce qual’è il gioco di Dupieux, il film mostra le sue carte in maniera fin troppo scoperta e si fa prevedibile nella sua macanza di logica e anche un pò ripetitivo. Il “giochetto” comunque regge per un buon tre quarti dell’opera e, se si è folli almeno un pochino di quanto lo sia il regista, il film non deluderà.
Disastroso è invece La vita oscena di De Maria, un drammone tratto da un romanzo di Aldo Nove, che a sua volta è tratto dalla storia vera dell’autore, che qui figura anche come sceneggiatore al fianco di De Maria. Si racconta la storia di un ragazzo a cui muoiono i genitori e la vita crolla a tal punto che si getta in un percorso di autodistruzione e continua ricerca del suicidio.
La vita oscena è semplicemente imbarazzante, un film che racchiude in se il peggio del modo di far cinema in Italia, ha quelle caratteristiche che ti ricordano di continuo perché non riusciuamo a vendere i nostri prodotti all’estero e non siamo più un’industria. E non perchè La vita oscena sia un prodotto para-televisivo e nazional-popolare cinepanettone style, anzi è anche piuttosto curato nella messa in scena (la fotografia è di Daniele Ciprì, per esempio), piuttosto perché è un film scritto male, costruito peggio e interpretato in maniera superficiale.
C’è una voce narrante continua e fastidiosa che scandisce le disavventure dell’antipaticissimo protagonista con il quale non si riesce ad entrare in empatia neanche un secondo: lui vuole morire? Muoia – penserà lo spettatore – almeno il film giunge a termine. Frasi improbabili che neanche il peggior adolescente con derive emo butterebbe giù nel suo diario colorato di nero, un protagonista (Clément Métayer) particolarmente inespressivo e derive trash che si affidano a distorsioni visive ed effetti in computer graphic stile video-arte davvero imbarazzanti.
Questo è La vita oscena e al termine della proiezione ufficiale con cast e regista sono partiti sonori fischi.
Roberto Giacomelli
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