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Into the Dark: In carne ed ossa, la recensione
Prosegue il nostro viaggio all’interno di Into the Dark, la serie antologica targata Blumhouse destinata al circuito televisivo, recentemente distribuita in Italia da RaiPlay. Una serie di lungometraggi slegati tra loro, dodici (a stagione) come i mesi dell’anno, il cui unico punto in comune è quello di svolgersi durante una ricorrenza.
La seconda tappa di questo percorso risponde al nome di Flesh & Blood (In Carne ed Ossa), diretto dal canadese Patrick Lussier, una carriera iniziata come montatore (incluse svariate collaborazioni con un signore dell’Horror come Wes Craven) per poi passare dietro la macchina da presa con alterne fortune con titoli come la trilogia di Dracula 2000 oppure San Valentino di Sangue e Drive Angry.
Into the Dark: Il corpo, la recensione
Le festività, croce e delizia di ogni realtà geografica e culturale, giornate tanto liete quanto impegnative perché possono essere sinonimo di riposo ma anche di stress. Pensando proprio a questo eterno dualismo, il cinema horror/thriller ha sempre trovato una certa fascinazione per i periodi festivi in quanto ideali oggetti bicefali con cui creare il giusto contrasto: gioia, festa / dolore, morte. Partendo proprio da questo assunto che ha dato la fortuna a pellicole capaci di far la storia del cinema horror (ma non solo) come Black Christmas, Halloween, Il giorno di San Valentino, il sempre sagace Jason Blum ha prodotto con la sua Blumhouse per l’emittente tv Hulu la serie antologica su lungo termine Into the Dark: 12 episodi, da rilasciare a cadenza mensile, ognuno incentrato su una festività caratteristica del mese di rilascio. Ma la particolarità è che ogni episodio non ha il classico timing da serie, quindi 45/50 minuti, bensì oscilla tra i 70 e i 90 minuti, dunque dei veri e propri lungometraggi!
La notte del giudizio, la recensione
2022. Da alcuni anni l’America è diventato uno dei luoghi più sicuri del mondo e tutto questo grazie all’iniziativa intrapresa da i Nuovi Padri Fondatori d’America, un organismo governativo che ha sancito ed imposto la ratifica del 28° emendamento per codificare il diritto di ogni cittadino americano alla libertà di commettere qualsiasi tipo di crimine, compreso l’omicidio, per una sola notte all’anno, senza subire conseguenze penali, precisamente la notte tra il 21 e il 22 marzo, tra le 7 della sera e le 7 del mattino. Lo chiamano lo “Sfogo annuale” e James Sandin, che di mestiere vende allarmi e sistemi di sicurezza, ha fondato la propria fortuna proprio sulla necessità delle persone di proteggersi quella notte all’anno dalla violenza che scoppia tra le strade.
A poche ore dallo Sfogo annuale, James, sua moglie e i suoi due figli si chiudono in casa aspettando che faccia mattina, ma un uomo di colore comincia a chiedere insistentemente aiuto in strada. Il figlio minore dei Sandin decide di far entrare l’uomo in casa, ma un gruppo di teppisti mascherati e armati fino ai denti assedia la casa dei Sandin intenzionati a farsi consegnare la loro preda.
L’uomo invisibile, la recensione
Tre le tante paure presenti nell’animo umano, una delle più comuni e ataviche è quella dell’ignoto, il terrore della minaccia invisibile che può colpirci da un momento all’altro senza poter essere evitata, un po’ come sta accadendo in questo nefasto periodo segnato dal subdolo pericolo del “coronavirus” che sta sconvolgendo le nostre vite. Una sensazione di impotenza che non poteva lasciare indifferenti il mondo della letteratura e del cinema horror che fin dalle origini, assieme alle figure iconiche e folkloristiche di vampiri, fantasmi, streghe e lupi mannari, ha dato vita a tutta una serie di prodotti incentrati sul tema dell’invisibilità. Prendendo come canovaccio il romanzo di fine Ottocento L’uomo invisibile di H.G. Wells, sono state molte le versioni cinematografiche che raccontano di smanie di potere e orrore legati al tema dell’invisibilità, tra cui citiamo il classico della Universal Pictures diretto da James Whale nel 1933 e quella datata 2000 di Paul Verhoeven, che hanno giocato anche sul tema ricorrente dello scienziato pazzo che sfida Dio per sovvertire le leggi della natura e della vita.
The Hunt, la recensione
L’emergenza coronavirus ha finito inevitabilmente per toccare anche il mondo del cinema. Produzioni ferme, release rinviate, progetti messi in standby. Il settore chiaramente è corso alle contromisure. A cominciare dalle piattaforme streaming che in questo (delicato) periodo offrono periodi gratuiti o concedono una forte scontistica, strategie di marketing che permettono di attutire il colpo e, contestualmente, effettuare una ‘semina’ ed una fidelizzazione del cliente in funzione futura. Passando per alcuni studios che hanno pensato di anticipare l’uscita VOD di titoli inizialmente previsti in sala, in modo da garantirsi un minimo di incasso ed alleggerire un calendario venturo che potrebbe rivelarsi intasato a causa dei tanti rinvii. È il caso, ad esempio, di Universal Pictures e Blumhouse che hanno deciso di portare online (disponibili per il digital renting su alcuni mercati) due titoli come The Invisible Man e The Hunt.
Fantasy Island, la recensione
Dal 1978 al 1984 l’emittente televisiva statunitense ABC ha trasmesso Fantasy Island, serie tv in sette stagioni che in Italia è arrivata su Canale 5 con il titolo Fantasilandia. L’idea era geniale anche se per certi versi mutuata da Il mondo dei robot di Michael Crichton e raccontava di un’isola su cui i ricchi vacanzieri potevano chiedere che qualunque loro fantasia fosse realizzata. Una serie destinata alle famiglie che è diventata celebre grazie agli iconici tenutari dell’isola che creano un fil rouge lungo tutte le stagioni, Mr. Roarke e il suo fido assistente nano Tatoo, che erano interpretati da Ricardo Montalbàn e Hervé Villechaize. Curiosamente questa serie che, a suo modo, ha fatto la storia della serialità televisiva è finita nelle mire della Blumhouse, la casa di produzione specializzata in film horror, per un reboot cinematografico che attingesse proprio all’immaginario orrorifico.
Disponibili in blu-ray La prima notte del giudizio e Obbligo o verita’
Il cinema horror, ormai, è in mano a quell’uomo che risponde al nome Jason Blum. Sia lui che la sua etichetta produttiva – la Blumhouse – non hanno certo bisogno di particolari presentazioni e se il loro passato (primi anni del duemila) era rappresentato quasi esclusivamente da piccolissimi film dell’orrore low budget, oggi ricordiamo la Blumhouse anche per aver dato vita all’intrigante Get out – Scappa di Jordan Peele, film che ha saputo fare incetta di nomination e premi agli ultimi Academy Awards. Ma il primo amore non si scorda mai, si sa, e la Blumhouse continua dritta per la sua strada a “sfornare” horror macina-botteghino. Così nelle scorse settimane, mentre Michael Myers tornava al cinema nell’ultimo bellissimo Halloween diretto da David Gordon Green e prodotto appunto da Blum, due recenti successi della Blumhose approdavano sul mercato home video sotto il marchio di Universal Pictures Home Entertainment. Vi parliamo de La prima notte del giudizio, quarto film della saga creata da James DeMonaco, e del pasticciato teen-horror Obbligo o verità.
Cam, la recensione
La giovane Alice, per fare soldi nel modo più semplice e rapido possibile, ha scelto di sfruttare il suo corpo sexy per diventare una cam-girl. La giovane è iscritta ad un sito nel quale i fruitori (tutti sotto le mentite spoglie di un nickname) possono comunicare con lei in diretta tramite una chat e, nel tentativo di scalare la classifica, inizia a realizzare dei mini snuff movie (ovviamente fittizi). Il repertorio comprende falsi suicidi e auto mutilazioni.
Obbligo o verità, la recensione
Avete presente quei film horror realizzati negli Stati Uniti nel pieno degli anni ’80 quando bastava una semplice scusa, un piccolo pretesto come una festività o una ricorrenza da calebdario per portare in scena uno spettacolo slasher? Per lo più si trattava di film colmi di déjà-vu, non sempre di qualità soddisfacente al palato dell’horrorofilo ingordo di facile emoglobina ed erano utili ai produttori per tirare su bei guadagni con il minimo sforzo, economico e creativo. È un po’ quello che accade oggi con l’impero Blumhouse, solo che lo slasher spesso e volentieri è sostituito da storie di possessione demoniaca e luoghi infestati e Obbligo o verità, ultimo improbabile horrorino che porta il marchio di Jason Blum, ne è la scadente apoteosi.