Aquaman e il regno perduto, la recensione

Il 2023 verrà ricordato, oltre che per il Barbenheimer, come l’anno che ha visto la prima vera grande crisi del cinecomic. Gli incassi poco lusinghieri di Ant-man and the Wasp: Quantumania e The Marvels, le durissime stroncature a The Flash e i risultati mediocrissimi al box-office di Shazam! Furia degli dèi e Blue Beetle, per non parlare della totale indifferenza verso i prodotti televisivi Marvel di Disney+, hanno testimoniato la perdita di fiducia del pubblico verso i personaggi che ha amato nel tempo e che ha premiato con incassi da record. Giusto Guardiani della Galassia Volume 3 e Spider-Man: Across the Spider-verse sembrano aver messo un po’ tutti d’accordo sulla qualità delle operazioni premiandole anche al botteghino.

Giunti a pochi giorni dalla fine dell’anno, arriva anche l’ultimo cinecomic del 2023, Aquaman e il regno perduto, che coincide anche con la fine del DC Extended Universe prima del reboot annunciato ormai da mesi sotto la direzione di James Gunn e Peter Safran. Un arrivederci che tutti noi ormai sappiamo che è in realtà un addio a volti e situazioni ormai note in quest’ultimo decennio, una situazione resa inevitabile da una gestione schizofrenica del brand DC e che, in alcuni casi, dispiace.

Dispiace perché in questi dieci anni sono emersi prodotti validi e con una loro personalità, portati in scena da persone capaci e con una visione ben precisa del cinema. Aquaman rientra tra i colpi ben assestati del fu DC Extendend Universe: non solo il più grande successo commerciale della saga DC (ha superato il miliardo di dollari diventato il 29° film di maggiore incasso della storia del cinema), ma anche un prodotto tecnicamente sperimentale e l’ennesima dimostrazione del talento di James Wan, che anche al di fuori della sua comfort zone horror sa infondere energia ed entusiasmo in quello che tocca. E dispiace anche perché Aquaman e il regno perduto, ancora diretto da Wan, è un sequel all’altezza del suo predecessore con la differenza che è anche conscio dei non pochi limiti che il film del 2018 aveva, addrizzando il tiro e risultandone migliore.

Arthur Curry, noto come Aquaman, ora è Re di Atlantide ma è anche padre di Arthur Jr. che dal papà e dalla mamma Mera ha ereditato poteri atlantidei. Ma Arthur non ha molta voglia di svolgere gli oneri da sovrano, che lascia volentieri alla sua consorte mentre lui passa più tempo sulla terraferma insieme al figlio. Finché un’emergenza lo richiama negli abissi: David Kane, in arte Black Manta, ha attaccato Atlantide e sembra quasi invincibile grazie a una misteriosa tecnologia atlantidea trovata sepolta nei ghiacci artici e generata da un antico e potente Tridente nero. Black Manta ha due obiettivi: trovare i rari giacimenti di oricalco, il minerale che alimenta il Tridente Nero, e vendicare la morte di suo padre, avvenuta a causa di Aquaman. Nel frattempo, le azioni di Black Manta stanno portando al veloce scioglimento dei ghiacciai e a un’accelerazione dei disastri ambientali causati dal cambiamento climatico.

Sulle note di Born To Be Wild degli Steppenwolf (ironicamente il gruppo della band è anche il nome del villain affrontato da Aquaman in Justice League!) si apre Aquaman e il regno perduto, un inizio dal sapore ironico e goliardico che ricorda molto da vicino lo stile che James Gunn ha dato ai suoi Guardiani della Galassia. Forse non è un caso, visto il ruolo che ha assunto Gunn nell’universo cinematografico DC, anche se Aquaman e il regno perduto è un prodotto che appartiene ancora alla vecchia gestione.

Viaggiando costantemente sulla doppia via dell’ironia e dell’azione ultra-strong, il buon James Wan fa quello che gli è più caro, ovvero portare in scena una miriade di creature bizzarre senza dimenticare la sua passione per i mostri dall’aspetto genuinamente creepy. Così, se il primo Aquaman aveva una delle sequenze più riuscite nello scontro con i terrificanti Trench e un epilogo dal sapore Kaiju, Aquaman e il regno perduto si districa tra scheletri viventi, animali giganti, letali creature acquatiche, mostruosi sabbipodi, scenografie retrofuturistiche che richiamano gli ambienti e i macchinari del videogame Bioshock e una macro-citazione a Star Wars che vede Martin Short dar la voce a un novello Jabba the Hutt in una sequenza che sembra uscita da Il ritorno dello Jedi. Insomma, si vede che dentro questo film c’è passione, divertimento e anche una certa libertà creativa che non è affatto scontata.

Se la Disney è citata occultamente con l’omaggio a Guerre Stellari, ad un certo punto si fa riferimento anche alla Marvel descrivendo il rapporto tra Aquaman e suo fratello Orm come quello – in effetti molto simile – tra Thor e Loki. Infatti, Aquaman e il regno perduto ha il suo focus centrale nel ritrovato rapporto tra fratelli, costretti a collaborare nonostante l’annosa rivalità che li ha messi uno contro l’altro per l’eredità del trono di Atlantide. Nel riuscitissimo duetto tra Arthur e Orm, che mostra l’ottima alchimia tra Jason Momoa e Patrick Wilson, vanno a delinearsi tutta una serie di dinamiche proprie del buddy-movie che giocano sulla profonda differenza tra l’irresponsabile e irruento Arthur e il più serio e calcolatore Orm.

Una buona gestione di Black Manta, interpretato sempre da Yahya Abdul-Mateen II, va a completamento di quanto già mostrato nel primo film su questo personaggio, creando un coerente arco narrativo su un villain che – una volta tanto – non viene sacrificato all’ingombrante personalità dell’eroe. Pur non essendo l’unico cattivo del film (non vi riveliamo l’altro, che è un altro volto noto ai lettori dei fumetti), è comunque la minaccia reale del film, un umano vendicativo reso quasi invincibile dalla “magia” atlantidea. Ma l’azione di Black Manta va anche a legarsi all’attualità, proprio come il cinema fantastico ha sempre fatto, diventando metafora del drastico cambiamento climatico che stiamo vivendo in questi anni. Aquaman combatte sì contro un super-cattivo che vuole distruggere Atlantide, ma sta anche contrastando la causa del surriscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacciai, promuovendo la collaborazione tra i popoli.

Lo spirito che anima Aquaman e il regno perduto è particolarmente fumettoso, legato inevitabilmente all’universo cinematografico costruito in questi anni ma molto vicino al tono fantasy, esagerato e sopra le righe delle tavole di Paul Norris. Insomma, l’addio al DC Extendend Universe è uno dei migliori film del DC Extendend Universe.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • C’è una buona gestione di tutti i personaggi, in particolare del villain.
  • L’accoppiata da buddy-movie Jason Momoa / Patrick Wilson funziona molto bene.
  • C’è il giusto mix di ironia, azione e mostri.
  • Come già il primo film, l’utilizzo della CGI è spesso ingombrante (seppur inevitabile).
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Aquaman e il regno perduto, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

One Response to Aquaman e il regno perduto, la recensione

  1. Mauro ha detto:

    Visto in IMAX, è stato uno spettacolo!

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