Io e Spotty, la recensione

La cosiddetta “furry culture” o “furry fandom” non è una realtà nota ai più, eppure in tutto il mondo – con una estensione maggiormente capillare in Giappone e Nord America – si è diffusa da tempo una vera e propria passione per animali antropomorfi, preferibilmente ricoperti di pelliccia. C’è chi fa risalire questo trend ai primi anni ’70, quando uscì il Robin Hood della Disney con i suoi magnifici personaggi provenienti dal mondo animale, e chi sposta la lancetta in avanti verso la diffusione capillare anche in occidente dei manga, o chi, addirittura, porta tutto a un discorso socio/antropologico ben più primordiale, quasi preistorico. Fatto sta che la furry culture ha preso piede in maniera esponenziale, diventando uno stile di vita per molte persone che hanno deciso di indossare le pellicce dei loro personaggi e contaminando perfino il settore dell’erotismo fetish. Un utile preambolo per introdurre Io e Spotty, il nuovo lungometraggio di Cosimo Gomez, prodotto da Mompracem e interpretato dalla Michela De Rossi di I molti Santi del New Jersey e La terra dell’abbastanza e il Filippo Scotti di È stata la mano di Dio.

Ma attenzione: Io e Spotty non è un film sul furry fandom, non ci prova neanche ad affrontare l’argomento, ma racconta la nascita di un rapporto di coppia partendo proprio dalla passione di uno dei due per il mondo furry.

Eva è una studentessa universitaria fuorisede a Bologna. Ma Eva non se la passa bene, tra una disastrosa relazione clandestina con il suo professore, frequenti e violenti attacchi di panico, le aspettative della madre sul rendimento universitario e il licenziamento da parte dell’azienda per cui lavorava, con le conseguenti difficoltà economiche che la spingono a mettere un annuncio di lavoro come dog sitter. A quell’annuncio risponde immediatamente Matteo, coetaneo di Eva e animatore per una società che realizza cartoni animati. Quando Eva si presenta a casa di Matteo per accudire Spotty si trova di fronte allo stesso ragazzo con indosso un costume da cane. All’inziale reazione di panico che la porta a fuggire via, segue un secondo tentativo in cui Eva proverà ad entrare nel mondo di Matteo, anzi, di Spotty.

Fa piacere notare che al suo secondo lungometraggio da regista, dopo Brutti e cattivi, Cosimo Gomez stia portando avanti una sua personale analisi cinematografica del “freak”, pur affrontando temi e utilizzando linguaggi estremamente differenti. Se nel film con Claudio Santamaria eravamo nei territori del pulp ultra-grottesco per raccontare vite-amori-morti di un gruppo di deplorevoli ed emarginati criminali portatori di handicap, in Io e Spotty si utilizza la chiave del dramma (quasi) romantico per esplorare un’emarginazione principalmente interiore. Un disagio che nasce da fattori emotivi, personali o semplicemente dall’aspettativa che la società ha dei personaggi, una società in cui Eva e Matteo si sentono come prigionieri, prima illusi e poi abbandonati.

Quel che si fa apprezzare maggiormente in Io e Spotty è la delicatezza con cui ci si approccia a queste due vite, due ragazzi qualunque con difficoltà più o meno gravi che trovano l’uno nell’altra l’unico motivo per una speranza futura. E l’idea di raccontare questi outsider con un piglio leggero, tirando in ballo la bizzarra tematica furry è sicuramente vincente, quel tipo di idea che già da sola è in grado di vendere il film.

Però qui c’è anche da fare un doveroso appunto perché Io e Spotty non riesce ad andare oltre il suo soggetto di base. Si ha la sensazione che la sceneggiatura scritta dallo stesso Gomez insieme a Luca Infascelli giri a vuoto per gran parte del tempo, con un rapporto tra durata reale del film e durata percepita sbilanciato in negativo verso la seconda. Ad Io e Spotty manca un susseguirsi di eventi, un progredire vero della storia che possa appassionare lo spettatore. È tutto molto piatto, narrativamente parlando, un film che vive di zone grigie, che ci presenta due personaggi intriganti con i quali è molto facile empatizzare ma poi non li sviluppa, almeno non come potrebbe/dovrebbe fare un film con premesse così originali.

Molto brava Michela De Rossi, che regge sulle sue solide spalle un po’ tutto il film riuscendo a destreggiarsi con estrema naturalezza tra i diversi stati d’animo del suo personaggio. Filippo Scotti, che ha partecipato a questo film prima di vincere il Premio Mastroianni a Venezia grazie a È stata la mano di Dio, quando non indossa il costume da cane recita in maniera dimessa per tutto il tempo, come il personaggio richiede, tra silenzi e sguardi bassi, così da creare una forte contrapposizione con il suo alter-ego furry voglioso di giocare e di essere coccolato.

A conti fatti, Io e Spotty è un “ni”, quel tipo di film che non riesce ad andare oltre il “carino”: grandi potenzialità che, minuto dopo minuto, si affievoliscono lasciando allo spettatore un senso di incompletezza generale.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • C’è un bel concept di partenza.
  • Bravi i protagonisti, Michela De Rossi in particolare.
  • Il film si spegne a mano a mano che procede, sembra come se, a un certo punto, non sapesse come proseguire.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Io e Spotty, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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